10 mag 2022

RIVOLUZIONE AGRICOLA E SELEZIONE NATURALE

 di Ugo Di Girolamo

PREMESSA

Nel precedente articolo sulla rivoluzione del fuoco abbiamo visto come una innovazione culturale, che è andata ad incidere nei meccanismi della selezione naturale, abbia modificato la posizione degli umani nella catena alimentare, rispetto a quella che la selezione naturale aveva precedentemente loro assegnata.

Ancor più invasiva nei meccanismi della selezione naturale è la pratica della produzione del cibo. Il passaggio dall’economia fondata su caccia e raccolta di alimenti forniti spontaneamente dall’ambiente naturale ad una basata sulla produzione del cibo è una innovazione culturale dalle conseguenze profonde e vaste sul modo di vita degli umani.

Prima di entrare nel merito del come il meccanismo selettivo è stato alterato e quali le principali conseguenze, è opportuno chiarire sinteticamente quando, come e dove si è avuta quella che V. G. Childe definì “rivoluzione neolitica”.

Per circa 2,8 milioni di anni gli umani sono vissuti di quanto spontaneamente l’ambiente naturale offriva loro. In questo lungo periodo si ha un lento sviluppo dell’industria litica “…ma le culture definite dai paleoantropologi in base agli oggetti prodotti, hanno uno sviluppo che si sovrappone e intreccia con l’evoluzione biologica, senza superarla in rapidità1. Vale a dire che grosse innovazioni nella lavorazione degli strumenti litici appaiono con l’apparire di nuove specie di umani. È con il paleolitico superiore che “si realizza un salto di qualità” e “la cultura comincia a modificarsi con un ritmo incomparabilmente più veloce dell’evoluzione biologica.”2

Il perfezionamento delle tecniche di caccia che il Sapiens realizza nel paleolitico superiore, la sua diffusione planetaria, Americhe comprese, unitamente agli effetti delle variazioni climatiche (fine della glaciazione di Wurm a partire da 18.000 anni fa), portano all’estinzione di quasi tutta la megafauna e di svariate altre specie superiori ai 40/50 Kg di peso.

18.000 anni fa l’ultima fase della glaciazione di Wurm raggiunse il picco massimo di freddo. Dopo la temperatura cominciò ad alzarsi fino a 12.800 anni fa.3 In questi millenni, nei quali temperatura e umidità aumentarono e i cereali selvatici usufruirono di condizioni più vantaggiose alla loro espansione, apparve il falcetto.

12.800 anni fa e per circa 1.300 anni il clima si irrigidì nuovamente.4 Il Dryas recente, come è stata chiamata questa coda finale della glaciazione di Wurm, determinò un nuovo irrigidimento climatico e nella Mezzaluna fertile un clima più secco influendo negativamente sulla crescita spontanea dei cereali selvatici, riducendone l’area di diffusione. Alla fine di questo periodo freddo, tra 12.000 e 11.500 anni fa, si cominciò a seminare in altri terreni i cereali selvatici. Il clima si era stabilizzato, la glaciazione si era finalmente esaurita, cominciava l’Olocene, un periodo di alte temperature, maggiore umidità e relativa stabilità climatica durata fino ad oggi. Nella Mezzaluna fertile un nuovo stile di vita si afferma, accanto alla caccia, alla pesca e alla raccolta di vegetali spontanei si comincia a produrre il cibo. La rivoluzione agricola è iniziata.

Questo termine o anche Rivoluzione neolitica fu coniato dal grande archeologo V. G. Childe, che per primo elaborò un modello esplicativo della nascita dell’agricoltura. G. Childe intendeva sottolineare in tal modo la radicalità del cambiamento5. Tuttavia, indipendentemente dal fatto che il passaggio dall’economia predatoria a quella di produzione del cibo sia durato almeno 4000 anni, la radicalità e vastità del cambiamento è stata tale da giustificare pienamente ancora oggi l’uso della parola rivoluzione.

Il periodo entro il quale il nuovo stile di vita prese corpo e si affermò, e tutte le nuove potenzialità in esso insite cominciarono a manifestarsi, cambiando profondamente l’organizzazione economica e sociale, fu abbastanza lungo ed è stato suddiviso in tre fasi.6

  • La  prima va da 14.000 a 12.000 anni fa, è la fase preparatoria e corrisponde alla cultura Natufiana.
  • La seconda va da 12.000 a 10.500 anni fa, detta Preceramico A.  -  Ad agricoltura incipiente.
  • La terza va da 10.500 a 9.000 anni fa, la nuova economia di produzione del cibo si afferma pienamente, comincia l’espansione dal luogo di origine.

1°. La Cultura Natufiana.7                 Si tratta di una popolazione di cacciatori raccoglitori insediata nella fascia che va dalla Palestina alla Siria. L’animale più cacciato era la gazzella (70-80% dei ritrovamenti archeologici) ma non mancano resti di cervi, cinghiali, onagri, capre selvatiche, e pesci. Tuttavia l’alimentazione era costituita prevalentemente dai cereali selvatici.

           Nel 2018 nel sito di Shubayqa 1 in Giordania è stata trovata una forma di pane carbonizzato, risalente a 14.000 anni fa, la più antica in assoluto.  Farro, orzo e avena erano stati decortificati, macinati, setacciati e impastati per la cottura8. Certo non sono i Natufiani o i loro immediati predecessori, i Kebariani, i primi a consumare cereali selvatici. Tale consumo è attestato dagli archeologi almeno a 100.000 anni fa. In una grotta nei pressi del lago Niassa in Mozambico sono state trovate tracce consistenti di amido di sorgo, nonché strumenti per raschiare e molare il sorgo selvatico9.

          Ma di sicuro i Natufiani hanno fatto dei cereali selvatici una componente fondamentale della loro dieta.

          Le loro capanne erano a forma circolare, 3-6 metri di diametro. Il terreno era parzialmente scavato e su muretti di pietra a secco alla base veniva eretta la struttura in legno della capanna, al centro della quale vi era un focolare. All’interno sono stati trovati pozzetti in pietra per la conservazione dei cereali, mortai e pestelli per la lavorazione, e falcetti con lamelle litiche per la raccolta delle spighe; oltre a punte di freccia.

          I villaggi Natufiani erano costituiti da capanne che ospitavano 100/150 persone e sorgevano nei pressi delle aree dove crescevano i cereali selvatici. Vi è, quindi, una notevole familiarità con i cereali e una spiccata tendenza alla sedentarizzazione, due importanti precondizioni per l’agricoltura, che gli “eredi biologici e culturali dei Natufiani svilupperanno.”10

 

2°. Preceramico A  -  Agricoltura incipiente (12.000 - 10.500 anni fa).                  Sempre nell’area Siro-Palestinese tracce archeologiche di cereali morfologicamente domesticati vengono trovati, risalenti a 11.500 anni fa.  Nel sito Tell es–Sultan/Gerico il 10% dell’orzo trovato dagli archeologi è rappresentato da varietà domesticata.

         In Siria, nel sito Aswad, accanto all’orzo selvatico è stato trovato grano domestico, risalente a 10.800 anni fa, probabilmente portato da fuori dato che in questa zona non c’era grano selvatico. La carne consumata proveniva tutta da animali selvatici.

         La sedentarizzazione si accentua, la popolazione è cresciuta visto che gli insediamenti, fatti ancora di capanne circolari, sono molto più grandi.

        A Gerico appare il primo muro che cinge l’insediamento e una torre alta 8 mt.11 A nord, ai piedi della catena del Tauro, appare il primo sito Göbekli Tepe, che per gli archeologi svolgeva un ruolo di centro di culto, dove le popolazioni della zona si riunivano periodicamente per ritrovarsi e identificarsi come comunità.

        L’economia di sussistenza è ancora in prevalenza costituita da attività predatorie di caccia e raccolta di alimenti selvatici, ma accompagnata dalla prima coltivazione di cereali.

 

3°. Preceramico B  -  Prevalenza di coltivazioni ed allevamenti (10.500 – 9.000 anni fa)

          In questa fase l’economia di produzione del cibo si afferma pienamente. Comincia anche la domesticazione di capre e pecore.12 Crescono gli insediamenti in numero e dimensioni, che cominciano ad essere cinti da fossati e palizzate. Le abitazioni non sono più circolari ma rettangolari e separate le une dalle altre.

         Comincia ad apparire una prima differenziazione di ricchezza nella popolazione. Nei villaggi del Preceramico B nell’8% delle tombe si trovano monili ed oggetti che lasciano intendere una maggiore ricchezza in una parte minoritaria della popolazione.13

         La tecnica agricola entra nella bassa piana mesopotamica, supera a nord la catena del Tauro e si diffonde nell’Anatolia centrale. A sud entra in Egitto, dove un nuovo animale, il somaro africano, viene domesticato. A est si spinge rapidamente fino alla valle dell’Indo dove viene domesticato il bufalo asiatico.

 

Tabella 1

Tabella 2

Ci siamo fin qui limitati a descrivere velocemente la nascita dell’agricoltura in una parte della Mezzaluna fertile, il versante occidentale, trascurando il nord e l’est dell’area interessata alla rivoluzione agricola, dove fenomeni in parte simili in parte diversi, concorsero all’affermarsi del nuovo stile di vita. Questa scelta è dettata dal fatto che è l’area siro-palestinese la prima in assoluto a praticare l’agricoltura e la più studiata archeologicamente, ma vi è soprattutto un’esigenza di sintesi del discorso relativo all’argomento che ci interessa, vale a dire trattare il rapporto con la selezione naturale.

Tuttavia, come è noto, e come le tab. 1 e 2 mostrano, l’agricoltura non è nata in un unico posto bensì in almeno una decina di diversi siti o forse anche di più e in epoche diverse.

In Cina, Nuova Guinea, Sahel, Mesoamerica e Ande processi analoghi a quelli della Mezzaluna fertile, ma con cereali, leguminose e animali differenti, sono partiti con un certo ritardo rispetto al Medio Oriente. E anche qui l’agricoltura ha valicato i confini originari per estendersi alle aree circostanti.

Evitiamo, altresì, di entrare nel merito delle cause scatenanti il processo di produzione del cibo soprattutto perché non vi è accordo tra gli archeologi, limitandoci ad una breve sintesi.

Per V. Gordon Childe la “rivoluzione neolitica fu conseguenza del “Dryas recente” (12.800 – 11.500 anni fa), che nel mentre faceva espandere i ghiacciai in Europa, provocava un inaridimento nell’area siro-palestinese, costringendo i gruppi umani a ritirarsi in piccole oasi dove sperimentarono nuove strategie di sopravvivenza.

Per altri autori più recenti, il fattore determinante la ricerca di nuove modalità alimentari fu lo squilibrio tra popolazione e risorse. Per altri ancora il fattore scatenante va ricercato nella socialità e nei riti che avrebbero spinto all’accumulo di alimenti.14

La teoria climatica G. Childe è stata ripresa e in parte modificata negli ultimi anni: le condizioni ambientale sfavorevoli (ivi compresi gli effetti climatici del Dryas sulla megafauna, unitamente alla caccia) avrebbero innescato la ricerca di nuove strategie alimentari.15

 

COS’È L’AGRICOLTURA

Tutto ciò premesso entriamo ora nel rapporto tra pratica agricola e selezione naturale.

Nella sua essenza coltivare equivale a un intervento in più aspetti del meccanismo selettivo.

Per comodità del discorso riportiamo i 6 aspetti fondamentali del processo selettivo già espressi nel precedente articolo sulla rivoluzione del fuoco.

    1. Variabilità - l’evoluzione procede a partire da organismi singolarmente diversi l’uno dall’altro all’interno di una specie;

    2. Ereditarietà - il genoma dei genitori si trasmette ai figli;

    3. Mutazioni casuali - nella trasmissione genitoriale dei geni avvengono mutazioni casuali;

    4. Insufficienza delle risorse - la carenza di risorse fa sì che non tutti gli organismi nati possano sopravvivere;

    5. Competizione per le risorse - la competizione si sviluppa sia tra gli individui della stessa specie che con le altre specie, in un particolare ecosistema;

    6. Differenziale riproduttivo - alcune mutazioni casuali, in un determinato habitat, danno un vantaggio riproduttivo a chi ne è portatore. I cambiamenti climatici, nel determinare la variabilità degli habitat, giocano quindi un ruolo fondamentale.

 

Il risultato dell’azione combinata di questi 6 fattori è la sopravvivenza differenziale dei portatori delle mutazioni positive in rapporto a un determinato ambiente naturale.

Per la Treccani l’insieme della biomassa del pianeta è suddivisa in 5 regni o per alcuni 6, ma a noi interessano solo 2: quello vegetale e quello animale. In entrambi vi è una competizione tra e nelle specie per le risorse e tutti sono disposti in una catena alimentare nei diversi habitat naturali.

Nel regno animale ogni specie tende a scacciare dalla propria area, dalla quale trae nutrimento, le altre concorrenti. In generale la competizione è meno accentuata tra gli erbivori e molto più forte tra onnivori e predatori.

La competizione per le risorse non avviene solo tra le specie, ma anche tra i componenti della stessa specie. Negli animali sociali la competizione avviene anche tra gruppi.16 All’interno del gruppo in linea di massima è la gerarchia che regola l’accesso al cibo e la riproduzione.

 

La competizione tra le specie.

Nel mondo vegetale la competizione avviene tra gli apparati radicali per l’assorbimento di acqua e nutrienti e nella parte aerea per la captazione dei raggi solari indispensabili per la fotosintesi.

Anche qui la competizione non avviene solo tra specie diverse, ad esempio cereali ed infestanti (che chiamiamo tali perché a noi non utili), ma anche tra singole piante della stessa specie.

Nel 1958 il Partito Comunista Cinese diede il via al Piano Quinquennale ’58 -‘63 che doveva rappresentare il “grande balzo” in avanti della Cina, tra le varie scelleratezze di natura ideologica, quali la lotta ai passeri o i “forni di cortile” per produrre acciaio, ve ne fu una che si dimostrò ancor più nefasta. I dirigenti comunisti, convinti dalle teorie pseudo-scientifiche dell’agronomo sovietico Lysenko, che negava la competizione tra piante della stessa “classe”, ordinarono ai contadini di seminare grano e riso in maniera fittissima. Arature profonde avrebbero consentito alle piantine di sviluppare i propri apparati radicali in profondità, senza ostacolarsi fra loro. I raccolti furono disastrosi, a partire dal 1960 una terribile carestia provocò la morte per fame di 14 milioni di Cinesi, stando alle cifre fornite dalla stessa Cina, da 20 a 30 milioni per osservatori stranieri.

Anche gli ottusi burocrati di Pechino capirono che la competizione tra vegetali della stessa specie esiste e non si può ignorare.

Coltivare, significa in primo luogo eliminare le infestanti dal terreno e spargere i semi di cereali o legumi o altri vegetali alle opportune distanze gli uni dagli altri, come pure piantare alberi da frutta a distanze tali da evitare la competizione tra gli apparati radicali e quelli fogliari.

Incendi e arature presemina, sarchiature dopo, erano le tecniche principali usate per eliminare le infestanti.

Ben presto i coltivatori si accorsero che seminare nuovamente la stessa specie sul medesimo terreno portava rese sempre più scarse. Bisognava, quindi, cambiare terreno, effettuare la rotazione delle colture. Inizialmente seminavano in terreni liberati dalla boscaglia con incendi, che avevano anche l’effetto di concimare l’area da coltivare, per poi ritornarvi dopo qualche anno. Successivamente si utilizzò la rotazione a maggese, vale a dire si lasciava un campo incolto, praticandovi frequenti arature, e ciò serviva sia a un più efficace controllo delle infestanti che ad eleminare la “stanchezza del terreno”.

Il maggese, con le frequenti arature, oltre ad abbattere la germinabilità dei semi di infestanti presenti nel terreno, ossigenava e rigenerava l’humus, aumentava quindi i nutrienti del suolo. Oggi sappiamo che il cosiddetto fenomeno della “stanchezza del terreno” e sì in parte connesso all’esaurirsi di nutrienti quali azoto, fosforo, potassio e microelementi, ma è anche e soprattutto effetto dell’accumulo dei nematodi. Si tratta di vermi invisibili ad occhio nudo che si attaccano sulle radici per succhiare la linfa e che hanno l’effetto di far deperire la pianta. Di questi alcuni vivono liberi nel terreno e mangiano batteri, funghi e protozoi, altri attaccano gli apparati radicali specializzandosi per famiglie vegetali. Così, ad esempio, quelli che proliferano sulle radici delle solonacee non danneggiano quelle delle cucurbitacee. Ruotando le colture si abbattono i relativi nematodi ma anche le arature, esponendoli al sole, servono al loro controllo.

Oggi se non si vogliono usare prodotti chimici, si ricorre alla tecnica della solaggione, praticata in particolare nelle coltivazioni in serra. Consiste nell’arare e fresare bene il terreno dopo il raccolto, irrigarlo e coprirlo con un telo di plastica, in questo modo, nel pieno dell’estate la temperatura sale ad un punto tale da eliminare i nematodi almeno nei primi 15 centimetri di terreno che è sufficiente per le colture orticole e floricole.

Inizialmente per seminare si sceglievano i terreni più freschi, più ricchi di acqua, in seguito la necessità di mettere a coltura nuovi terreni più asciutti portò allo sviluppo dell’irrigazione. Tracce archeologiche di antiche reti idriche risalenti ad 8000 anni fa sono state trovate alle pendici dei monti Zagros, il nord della Mezzaluna fertile.17

Con arature, concimazioni a base di letame e irrigazioni si finisce con il toccare l’aspetto della selezione naturale (punto 4) relativo alla scarsità delle risorse, approntando per le piante a noi utili “un ricco banchetto”.

Molte specie di animali apprezzano le colture degli umani per cui la difesa delle piante utili all’alimentazione avviene non solo verso le infestanti ma anche contro erbivori ed onnivori. Aspetto, questo, particolarmente importante per l’altra faccia dell’agricoltura: l’allevamento degli animali domestici. Capre, pecore, bovini, suini, camelidi, equini e volatili vengono sottratti ai loro predatori naturali, con una difesa attiva fatta di armi, recinti e cani (il primo animale domesticato già dai cacciatori raccoglitori).

Si entra, in ultima analisi, nella competizione tra le specie (e relativa catena alimentare) e si altera a nostro vantaggio una dei meccanismi fondamentali della selezione naturale: la competizione per le risorse (punto 5).

 

 

La domesticazione

Il secondo, altrettanto importante, meccanismo selettivo nel quale si interviene con la pratica agricola è quello relativo alla variabilità dei caratteri tra i singoli membri di una specie, che è il punto di partenza della selezione naturale, dal quale parte l’evoluzione delle specie.

La selezione inconsapevole -   In origine la domesticazione può essere stata inconsapevole. Così, ad esempio, nel ciclo naturale di grano ed orzo selvatici i semi giunti a maturazione tendono a staccarsi dalla spiga per disperdersi nel terreno circostante e riprodursi. Tuttavia, in diversi luoghi, a seguito di mutazioni spontanee nascono spighe i cui semi non si staccano facilmente una volta maturi. Se le donne e gli uomini per raccogliere i cereali spontanei aspettano che questi siano maturi (e devono farlo perché i chicchi di cereali non maturi si conservano male o per niente) si troveranno a raccogliere prevalentemente queste spighe mutanti. Riseminando la parte non consumata si ritroveranno nelle successive annate una quantità sempre maggiore di spighe resistenti alla dispersione.

È stato calcolato dai botanici, che hanno elaborato questo schema teorico, che bastano una decina di anni per ritrovarsi con una specie mutata.18 Ma questa caratteristica nuova non favorisce la riproduzione spontanea per cui la nuova specie, se non aiutata dal coltivatore, ha difficoltà a riprodursi e se abbandonata a se stessa stenta a diffondersi, può così innescarsi un processo inverso di inselvatichimento.

Ben presto i coltivatori devono essersi accorti che con il loro agire potevano migliorare le caratteristiche a loro più utili delle specie vegetali e animali che usavano per la loro alimentazione.

La domesticazione di vegetali e animali nella pratica consiste nell’individuare all’interno di una specie quei soggetti che presentano caratteristiche per noi più utili e si lasciano riprodurre solo quelli, destinando gli altri al consumo ciò sia per i vegetali che per gli animali.

Per i cereali, ad esempio, si scelgono per la semina i chicchi più grandi provenienti dalle spighe più lunghe, resistenti alla dispersione dei semi, e con le glumelle che si staccano più facilmente dai chicchi.

Ripetendo nel tempo queste operazioni gli antichi coltivatori ottennero varietà vegetali sempre più facili da lavorare e dalla resa maggiore. Così, ad esempio, una pannocchia di mais selvatico era lunga 7-8 cm., oggi alcune varietà arrivano a 40 cm.

In altri termini i coltivatori “…operano una selezione accumulativa: la natura fornisce variazioni successive, e l’uomo le accumula nelle direzioni che gli sono utili.”19

Man mano che questo processo selettivo veniva portato avanti “…si finì con l’alterare la riproduzione naturale e il patrimonio genetico di queste specie, che divennero via via sempre più inadatte ad una sopravvivenza autonoma e sempre più dipendenti dalle cure e dalla protezione dell’uomo.”20

Nella pratica le specie domesticate “…hanno perso la loro indipendenza genetica.21

Tra gli animali domestici fanno eccezione i gatti, ammesso che si possa considerare domestica questa specie (della qual cosa io dubito), perché vivendo in libertà tra gli umani, si accoppiano con chi gli pare.

 

In conclusione

Con la pratica agricola gli umani intervengono in tre aspetti fondamentali del meccanismo selettivo relativo alle specie vegetali e animali che utilizzano: la variabilità – l’insufficienza delle risorse – la competizione per le stesse, inter e intraspecifica. Le conseguenze di questi inconsapevoli interventi nei meccanismi della selezione naturale furono talmente vaste e radicali sull’insieme del modo di vita degli umani che portarono Gordon Childe, come precedentemente abbiamo detto, a coniare i termini Rivoluzione neolitica e Rivoluzione agricola. Termini che restano ancora validi anche se oggi sappiamo che l’arco di tempo impiegato nella trasformazione dell’economia di sussistenza in economia di produzione durò almeno 4000 anni.

Per comprendere appieno le implicazioni insite nel nuovo modo di procurarsi il cibo, il punto di partenza che dobbiamo considerare è che “…con l’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento si finiva col produrre più del fabbisogno necessario alla sopravvivenza, potendo così reimpiegare questo surplus in attività nuove.”22

L’esistenza di questo surplus e la sua gestione innescheranno una serie di effetti a catena che cambieranno tutto il modo di vita e l’organizzazione delle comunità umane che adottarono l’economia di produzione del cibo.

Questi aspetti saranno oggetto di un prossimo articolo.

 

 

NOTE

1. Lucio Russo, “Stelle, Atomi e velieri. Percorsi di storia della scienza, Mondadori, 2015, pag 3

2. Idem, pag 4.

3. Wolfang Behringer, “Storia culturale del clima”, Bollati Boringhieri, 2013, pag. 60

4. Idem pp.65-66

5. Francesca Giusti, “L’agricoltura nella storia. La produzione agricola e i modelli interpretativi”, Il Mondo dell’Archeologia, 2002

6. Marcella Frangipane, “Il neolitico e la protostoria nel Vicino Oriente antico” in “La Storia. L’origine dell’umanità” Salerno Editrice, 2016, pp. 221-231

7. J. Cauvin, “Nascita delle divinità nascita dell’agricoltura”, Jaca book, 1994, pp. 37-44

8. AA.VV., “Il pane prima dell’agricoltura”, in Le Scienze 17 luglio 2018.

9. Julio Mercader, “I primi cereali di Homo Sapiens”, in LeScienze.it/news/2009 dell’8 dicembre 2009

10. J. Cauvin, op. cit., pag 44

11. M. Frangipane, op. cit.  pp. 224-225.

12. Idem, pp. 228-230

13. Anna Meldolesi, “Ricchi e poveri”, in Le scienze n. 555 novembre 2014, pp. 90-97

14. Jean Guilaine, “La rivoluzione neolitica”, in “Storia dell’economia Mondiale” vol. 1, Laterza, 2019, pp. 4-6.

15. Alessandra Manfredini, “Il neolitico in Europa”, in “La Storia. Le origini dell’umanità”, Salerno Editrice, 2016, pp. 267-268.

16. E. O. Wilson, “Le origini profonde delle società umane”, R. Cortina Editore, 2020, pag 8

17. Mario Liverani, “Agricoltura e irrigazione nell’antico oriente” in “Storia dell’economia mondiale”, 2019, pp. 43-44

18. J. Cauvin, op. cit., pp. 80-81

19. C. Darwin, “L’origine delle specie”, La Biblioteca di Repubblica - l’Espresso, pp. 37-38.

20. M. Frangipane, op. cit., pag 215

21. Desmond Morris, “La scimmia nuda”, Bompiani, 1968, pag. 242

22. M. Frangipane, op. cit., pag 218.

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