9 mag 2022

GUERRA E PACE

  

Ospitiamo un articolo di ADELCHI SCARANO


     1. Esistono parole molte usate (come amore, felicità, bene) che spesso sono ab-usate: se ne fa un uso retorico, che non riflette il loro significato autentico. “Pace” è una di queste parole. La maggior parte dei cosiddetti “pacifisti” che la pronunciano cede a questo offuscamento di significato che fa perdere alla parola qualità semantica e connotazione storica.

     Alcuni ne fanno un termine magico (tipo, abracadabra), come se fosse la risoluzione di tutti i mali. Altri la trasformano in una esortazione, come se il pronunciarla fosse di per sé un auspicio destinato ad inverarsi, forse per tranquillizzare la propria coscienza insicura, o più probabilmente per tutelare la propria immagine pubblica. Infine ci sono quelli che fanno coincidere il suo significato con uno status di divina armonia, ottenibile mediante la preghiera, dunque mediante la devozione nei confronti di un dio che prima o poi li ascolterà donandoci la pace. Non discuto quest’ultima modalità, per il semplice fatto che questo concetto di pace è formulata in modo non confutabile sul piano logico.

    Sono andato a leggere in qualche dizionario il significato del termine “pace” e ho scoperto che l’unico modo di definirla è quello che la mette in relazione al termine “guerra”. Per il Treccani è una “condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti, sia all’interno di un popolo, di uno stato, di gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi, ecc., sia all’esterno, con altri popoli, altri stati, altri gruppi”. In altri termini, la pace è definibile, in senso negativo, in quanto “assenza di guerra”. Questo accade perché il vocabolario non può far finta che la pace sia divina armonia, ma deve storicizzare il termine, quindi deve fare i conti col fatto che noi conosciamo la pace solo come assenza di guerra. Quando infatti la definizione riportata sopra parla di pace come “condizione di normalità dei rapporti” non vuole dire che essa è la condizione umana ordinaria, ma che è identificabile nelle relazioni sottoposte a vincoli (a “norme” appunto).
    Guerra e pace sono una di quelle coppie di opposti inscindibili che, secondo Eraclito, costituiscono l’essenza delle cose, la realtà che supera l’apparenza dei fenomeni e incarna il lógos (“la stessa cosa è il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio, perché queste cose mutandosi sono quelle e quelle a loro volta mutandosi sono queste” DK 22 B88). Insomma noi possiamo interpretare la storia solo se ne cogliamo la profondità mediante il suo alternarsi tra uno stato di guerra e uno stato di pace, in quanto l’uno rappresenta la contraddizione (se si vuole, il divenire, l’evoluzione) dell’altro: ad ogni guerra segue necessariamente una pace, si dice spesso; ma, se la visione di Eraclito è giusta, non c’è pace che non generi una guerra. In questo pensiero non c’è composizione dialettica, c’è solo un contrasto latente e insanabile.

    2. Diamo per scontato questo sillogismo: a) nessun individuo dotato di buon senso può preferire la guerra alla pace, non fosse altro perché in guerra è molto più facile morire: b) la pace non è un bene trascendente, bensì una situazione storico-politica; c) pertanto quel che dobbiamo perseguire, se desideriamo la pace, sono le condizioni storiche e politiche che la favoriscono.
    Nel nostro tempo, la situazione geopolitica del pianeta è definibile come l’interazione tra stati sovrani (entità storico-geografiche in grado di autodeterminarsi). All’interno degli stati la pace tra gli individui e i gruppi è perseguita attraverso le leggi: in altre parole il conflitto sociale, insopprimibile a causa delle disuguaglianze, è regolato da una serie di norme che contengono la conflittualità entro limiti ritenuti accettabili. I limiti sono diversi tra stato e stato: ce ne sono alcuni, come ad esempio la Repubblica Popolare Cinese, nei quali pressoché nessuna forma di conflitto sociale è consentita; ce ne sono altri, come ad esempio l’Italia, nei quali il conflitto è consentito con modalità anch’esse regolate, che implicano lo sciopero, le manifestazioni di piazza, l’espressione delle proprie opinioni in assenza di vincoli, ma non la possibilità di sfasciare le vetrine dei negozi solo perché vendono le borse di Cartier.
    Per quanto riguarda il rapporto tra gli stati, soprattutto a partire dal periodo successivo al primo conflitto mondiale sono stati costituiti organismi (prima la Società delle Nazioni, poi l’Organizzazione delle Nazioni Unite) e sono state elaborate regole (il cosiddetto “diritto internazionale”) che si propongono di prevenire, o comunque contenere le guerre entro limiti accettabili. Per fare un solo esempio: nel 1919 la Società delle Nazioni, formulando il concetto di “aggressione” stabilì che l’attacco contro la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di un paese è un’azione illegale. La regola è poi confluita nel 1945 nella Carta dell’ONU (articoli 1 e 2), la quale definì i suddetti atti “crimini contro la pace” e attribuì ad un Consiglio di sicurezza il potere di accertare concretamente la presenza di un atto di aggressione. Le due date sono oltremodo significative, perché corrispondono agli anni durante i quali si sono concluse le due guerre più devastanti della storia del nostro pianeta. In quei due anni l’umanità ha compiuto il suo sforzo più grande per realizzare concretamente la pace: la storia sembra dimostrare che l’inscindibilità della coppia guerra/pace è il modo più efficace per comprendere la realtà che ci circonda. Si deve per altro notare che a scatenare la seconda guerra mondiale fu proprio la clamorosa violazione da parte della Germania nazista di quel primo abbozzo di regole universali promosso dalla Società delle Nazioni.
    Allo stato delle cose, dunque, fino a che un nuovo conflitto mondiale non genererà nuovi assetti e nuove regole per salvaguardare e promuovere la pace, sono proprio le regole attuali del diritto internazionale a definire cosa è guerra e cosa è pace. Pace e legalità internazionale sono sinonimi, così come sono sinonimi la convivenza all’interno di un paese e il rispetto delle sue leggi. Ovviamente, a nessuno sfugge che le eventuali "innovazioni" alle norme stabilite di comune accordo dagli organismi internazionali sarebbero il risultato di uno scontro che, in base a quel che sappiamo dello stato degli armamenti, distruggerebbe la gran parte dell’umanità fino a mettere a repentaglio l’esistenza della nostra e di molte altre specie viventi sul pianeta (qualcuno dice che si salverebbero gli insetti). Al momento, se si vuole parlare di pace, per non fare prediche inutili, l’unico punto di riferimento concreto che possiamo avere è questa fonte normativa che stabilisce le cose che gli stati possono fare e le cose che non possono fare.

    3. Dicono alcuni “pacifisti”, molti dei quali fuorviati dalle bandiere rosse (ahimè) che i soldati russi innalzano sulle rovine di Kherson e Mariupol, che l’invasione dell’Ucraina da parte dell’armata russa, sarebbe la conseguenza di una serie di cause pregresse che l’avrebbero generata. “Un lupo vide un agnello che beveva ad un torrente, sotto di lui, e gli venne voglia di mangiarselo. Così, gli disse che bevendo, sporcava la sua acqua e che non riusciva nemmeno a bere. «Ma tu sei a monte ed io a valle, è impossibile che bevendo al torrente io sporchi l’acqua che scorre sopra di me!» rispose l’agnello. Venuta meno quella scusa, il lupo ne inventò un’altra: «Tu sei l’agnello che l’anno scorso ha insultato mio padre, povera anima». E l’agnello, di nuovo, gli rispose che l’anno prima non era ancora nato, dunque non poteva aver insultato nessuno. «Sei bravo a inventare delle scuse per tutto» gli disse il lupo, poi saltò addosso al povero agnellino e lo mangiò”. (Esopo VI secolo a.C.).            Stai facendo letteratura, mi si obietterà, però Esopo era uno che ne capiva abbastanza di relazioni umane, tanto è vero che, dopo duemilacinquecento anni, noi continuiamo ad educare i nostri figli con le sue opere. D’altra parte, non così distante dalla visione di Esopo è un pacifista con le carte in regola come il papa, quando dice: “In Ucraina sono stati gli altri a creare il conflitto. L’unica cosa che si imputa agli ucraini è che avevano reagito nel Donbass, ma parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio” (intervista al Corriere della Sera del 3 maggio). Questo uomo, la cui saggezza continua ad essere per me una confortante scoperta, anche quando non condivido alcune sue opinioni, ci sta dicendo che la ricerca delle cause di un determinato conflitto non può mai spingersi fino ad un limite oltre il quale la stessa ricerca diventa una giustificazione di chi ha preso le armi, ha invaso un paese sovrano per sottometterlo alle proprie esigenze, ha infranto la legalità internazionale ingenerando il rischio di un allargamento del conflitto potenzialmente in grado di distruggere la specie umana.
    Ora poniamoci la domanda, che molti presunti amanti della pace non si pongono: posto che la leadership russa sembra essere in qualche modo costretta – pena la sua soppressione – a  continuare l’aggressione dell’Ucraina fino a sottometterla o, quanto meno, ad annettere parti consistenti del suo territorio; posto che gli ucraini (gli ucraini, non gli americani, come da mesi il salotto della signora Gruber cerca di convincerci) non hanno nessuna intenzione di consegnarsi al loro nemico, quali sono le condizioni che possono favorire la fine del conflitto e scongiurare il pericolo di un suo allargamento che ci porterebbe verso la catastrofe?
    Una delle ipotesi, alla quale sembra affezionarsi ogni giorno di più una certa parte del fronte “pacifista”, è che se l’armata rossa (pardon: l’armata russa) riuscisse a sopraffare l’Ucraina (cosa che al momento non appare tra le più probabili) noi avremmo come conseguenza la pace. Qualcuno di questo fronte, come ad esempio Il Fatto Quotidiano, sta perseguendo questa ipotesi adottando una tecnica già sperimentata nel corso della pandemia da Covid 19, che stimola un senso di paura in chi ha la sventura di affidare la formazione delle proprie opinioni a questo giornale: gli armamenti di cui dispone Putin sarebbero a tal punto temibili per noi occidentali, da consigliarci a restarcene buoni e abbandonare l’Ucraina al proprio destino. Si tratta di una delle tante “bufale” in cui questo giornale è specializzato. Definirei questo modo si informare la “tecnica dell’uovo di pasqua”: il produttore dell’uovo sa cosa ci ha messo dentro e fa finta di chiederlo ad un presunto “esperto”, (nella fattispecie un tal Tiziano Ciocchetti) il quale è incaricato di rivelarci la sorpresa. Naturalmente, costui fa vaghe allusioni, dà per certo che la Federazione russa dispone di wunderwaffen, che allo stato sembrano essere frutto solo di trovate propagandistiche, spaccia per sistemi d’arma moderni reperti vecchi di 40 anni che risalgono all'URSS, e così via. Ma cosa volete che sia la correttezza dell'informazione, l’obiettivo non è quello di informare, ma quello di ingenerare un senso di smarrimento e di angoscia in chi legge, affinché si convinca che non vale la pena di “morire per Kiev”.

    4. Mi pare chiaro che se fosse vera l’ipotesi dell’intelligence britannica, in base alla quale in coincidenza con l’anniversario del 9 maggio, la Federazione Russa si produrrebbe in una escalation della guerra in grado di annientare, con qualsiasi mezzo, le possibilità di difesa dell’Ucraina, noi saremmo molto più vicini alla catastrofe mondiale. Chi potrebbe evitarla a quel punto? I paesi occidentali potrebbero essere tentati da un confronto diretto con la Federazione Russa, non limitandosi più ad aiutare l’Ucraina a difendersi? Io penso di no.         Penso che l’occidente, sia pure forse aumentando gli aiuti, non potrebbe comunque accettare il confronto diretto. Ma non perché si pensa che la Russia sia più forte (secondo la risibile tesi del giornale di cui sopra), ma perché l’occidente è governato da sistemi democratici, i quali non possono – come invece può fare e fa Putin – determinare la libera opinione dei propri cittadini. L’opinione pubblica dei paesi occidentali non accetterebbe mai il rischio di una guerra nucleare. Questo rischio è invece accettato – se ne discute persino ridacchiando in certe scene che giungono dalle televisioni russe – da popolazioni la cui informazione è condizionata totalmente da chi le governa. Questa è la differenza: non si arriverà (per ora) alla guerra nucleare, non perché noi abbiamo paura del più forte, ma perché qui c’è la democrazia, lì invece c’è la schiavitù del pensiero. Enrico Berlinguer, l’ultimo leader comunista dell’occidente, lo aveva lucidamente compreso; viceversa i comunisti di oggi seguono le orme di Toni Negri, avendo come unico obiettivo la destabilizzazione della democrazia.
    Il problema, però, è complicato dalla eventualità molto probabile che, una volta occupata totalmente l’Ucraina, un po’ perché gli ucraini non accetteranno comunque di rimanere sotto il tallone russo (si chiama resistenza, uguale-identica alla nostra Resistenza); ma, soprattutto perché a quel punto la caratterizzazione della leadership russa sarà tale da spingerla ad incrementare le sue pretese, noi ci troveremo di fronte ad un rischio ancora più elevato di allargamento del conflitto. L’esperienza europea del 1938-39 è, a tale proposito quanto mai illuminante: l’aver ceduto alle sopraffazioni di Hitler nei confronti dell’Austria, della Cecoslovacchia e della Polonia da parte della Francia e del Regno Unito non è servito a mantenere la pace, ma a subire l’invasione della Wehrmacht (la prima) e i bombardamenti a tappeto (la seconda), con le conseguenze che tutti conosciamo, compreso il provvidenziale intervento degli americani a liberarci dall’incubo nazista.
    Che fare, dunque? La mia opinione è che la misura con la quale i paesi occidentali stanno affrontando questo difficile frangente sia del tutto condivisibile ed è la prova che la democrazia, con tutte le sue contraddizioni, resti una delle condizioni imprescindibili per la promozione della pace. La pace, se non è un afflato misticheggiante, coincide in tutto e per tutto con la legalità internazionale, le cui regole sono state elaborare e sancite da tutti i paesi del mondo, non solo da noi occidentali. Quando questa legalità è infranta, la pace è infranta e la sorte di milioni di persone, se non l’umanità nel suo insieme, è messa a repentaglio. Pur cercando di minimizzare il rischio di un allargamento del conflitto, è necessario fermare Putin, ora, in Ucraina e sperare che la mancata realizzazione dei suoi disegni induca il popolo russo a liberarsene. Gli ucraini stanno subendo i crimini che subiscono non solo per salvare se stessi, ma per proteggere tutti noi dalla minaccia della catastrofe mondiale. L’umanità non sarà mai grata abbastanza all’eroismo di questo popolo.

Nessun commento:

Posta un commento

Scrivi quì il tuo commento grazie.