Ospitiamo un articolo di ADELCHI SCARANO
1. Esistono parole molte usate (come amore, felicità, bene) che spesso sono ab-usate: se ne fa un uso retorico, che non riflette il loro significato autentico. “Pace” è una di queste parole. La maggior parte dei cosiddetti “pacifisti” che la pronunciano cede a questo offuscamento di significato che fa perdere alla parola qualità semantica e connotazione storica.
Alcuni ne fanno un termine magico (tipo, abracadabra), come se fosse la risoluzione di tutti i mali. Altri la trasformano in una esortazione, come se il pronunciarla fosse di per sé un auspicio destinato ad inverarsi, forse per tranquillizzare la propria coscienza insicura, o più probabilmente per tutelare la propria immagine pubblica. Infine ci sono quelli che fanno coincidere il suo significato con uno status di divina armonia, ottenibile mediante la preghiera, dunque mediante la devozione nei confronti di un dio che prima o poi li ascolterà donandoci la pace. Non discuto quest’ultima modalità, per il semplice fatto che questo concetto di pace è formulata in modo non confutabile sul piano logico.
Sono andato a leggere in qualche dizionario il significato del termine
“pace” e ho scoperto che l’unico modo di definirla è quello che la mette
in relazione al termine “guerra”. Per il Treccani è una “condizione di
normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti, sia all’interno
di un popolo, di uno stato, di gruppi organizzati, etnici, sociali,
religiosi, ecc., sia all’esterno, con altri popoli, altri stati, altri
gruppi”. In altri termini, la pace è definibile, in senso negativo, in
quanto “assenza di guerra”. Questo accade perché il vocabolario non può
far finta che la pace sia divina armonia, ma deve storicizzare il
termine, quindi deve fare i conti col fatto che noi conosciamo la pace
solo come assenza di guerra. Quando infatti la definizione riportata
sopra parla di pace come “condizione di normalità dei rapporti” non
vuole dire che essa è la condizione umana ordinaria, ma che è
identificabile nelle relazioni sottoposte a vincoli (a “norme” appunto).
Guerra e pace sono una di quelle coppie di opposti inscindibili che,
secondo Eraclito, costituiscono l’essenza delle cose, la realtà che
supera l’apparenza dei fenomeni e incarna il lógos (“la stessa cosa è il
vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio,
perché queste cose mutandosi sono quelle e quelle a loro volta
mutandosi sono queste” DK 22 B88). Insomma noi possiamo interpretare la
storia solo se ne cogliamo la profondità mediante il suo alternarsi tra
uno stato di guerra e uno stato di pace, in quanto l’uno rappresenta la
contraddizione (se si vuole, il divenire, l’evoluzione) dell’altro: ad
ogni guerra segue necessariamente una pace, si dice spesso; ma, se la
visione di Eraclito è giusta, non c’è pace che non generi una guerra. In
questo pensiero non c’è composizione dialettica, c’è solo un contrasto
latente e insanabile.
2. Diamo per scontato questo sillogismo: a) nessun individuo dotato di
buon senso può preferire la guerra alla pace, non fosse altro perché in
guerra è molto più facile morire: b) la pace non è un bene trascendente,
bensì una situazione storico-politica; c) pertanto quel che dobbiamo
perseguire, se desideriamo la pace, sono le condizioni storiche e
politiche che la favoriscono.
Nel nostro tempo, la situazione geopolitica del pianeta è definibile
come l’interazione tra stati sovrani (entità storico-geografiche in
grado di autodeterminarsi). All’interno degli stati la pace tra gli
individui e i gruppi è perseguita attraverso le leggi: in altre parole
il conflitto sociale, insopprimibile a causa delle disuguaglianze, è
regolato da una serie di norme che contengono la conflittualità entro
limiti ritenuti accettabili. I limiti sono diversi tra stato e stato: ce
ne sono alcuni, come ad esempio la Repubblica Popolare Cinese, nei
quali pressoché nessuna forma di conflitto sociale è consentita; ce ne
sono altri, come ad esempio l’Italia, nei quali il conflitto è
consentito con modalità anch’esse regolate, che implicano lo sciopero,
le manifestazioni di piazza, l’espressione delle proprie opinioni in
assenza di vincoli, ma non la possibilità di sfasciare le vetrine dei
negozi solo perché vendono le borse di Cartier.
Per quanto riguarda il rapporto tra gli stati, soprattutto a partire dal
periodo successivo al primo conflitto mondiale sono stati costituiti
organismi (prima la Società delle Nazioni, poi l’Organizzazione delle
Nazioni Unite) e sono state elaborate regole (il cosiddetto “diritto
internazionale”) che si propongono di prevenire, o comunque contenere le
guerre entro limiti accettabili. Per fare un solo esempio: nel 1919 la
Società delle Nazioni, formulando il concetto di “aggressione” stabilì
che l’attacco contro la sovranità, l’integrità territoriale e
l’indipendenza politica di un paese è un’azione illegale. La regola è
poi confluita nel 1945 nella Carta dell’ONU (articoli 1 e 2), la quale
definì i suddetti atti “crimini contro la pace” e attribuì ad un
Consiglio di sicurezza il potere di accertare concretamente la presenza
di un atto di aggressione. Le due date sono oltremodo significative,
perché corrispondono agli anni durante i quali si sono concluse le due
guerre più devastanti della storia del nostro pianeta. In quei due anni
l’umanità ha compiuto il suo sforzo più grande per realizzare
concretamente la pace: la storia sembra dimostrare che l’inscindibilità
della coppia guerra/pace è il modo più efficace per comprendere la
realtà che ci circonda. Si deve per altro notare che a scatenare la
seconda guerra mondiale fu proprio la clamorosa violazione da parte
della Germania nazista di quel primo abbozzo di regole universali
promosso dalla Società delle Nazioni.
Allo stato delle cose, dunque, fino a che un nuovo conflitto mondiale
non genererà nuovi assetti e nuove regole per salvaguardare e promuovere
la pace, sono proprio le regole attuali del diritto internazionale a
definire cosa è guerra e cosa è pace. Pace e legalità internazionale
sono sinonimi, così come sono sinonimi la convivenza all’interno di un
paese e il rispetto delle sue leggi. Ovviamente, a nessuno sfugge che le
eventuali "innovazioni" alle norme stabilite di comune accordo dagli
organismi internazionali sarebbero il risultato di uno scontro che, in
base a quel che sappiamo dello stato degli armamenti, distruggerebbe la
gran parte dell’umanità fino a mettere a repentaglio l’esistenza della
nostra e di molte altre specie viventi sul pianeta (qualcuno dice che si
salverebbero gli insetti). Al momento, se si vuole parlare di pace, per
non fare prediche inutili, l’unico punto di riferimento concreto che
possiamo avere è questa fonte normativa che stabilisce le cose che gli
stati possono fare e le cose che non possono fare.
3. Dicono alcuni “pacifisti”, molti dei quali fuorviati dalle bandiere
rosse (ahimè) che i soldati russi innalzano sulle rovine di Kherson e
Mariupol, che l’invasione dell’Ucraina da parte dell’armata russa,
sarebbe la conseguenza di una serie di cause pregresse che l’avrebbero
generata. “Un lupo vide un agnello che beveva ad un torrente, sotto di
lui, e gli venne voglia di mangiarselo. Così, gli disse che bevendo,
sporcava la sua acqua e che non riusciva nemmeno a bere. «Ma tu sei a
monte ed io a valle, è impossibile che bevendo al torrente io sporchi
l’acqua che scorre sopra di me!» rispose l’agnello. Venuta meno quella
scusa, il lupo ne inventò un’altra: «Tu sei l’agnello che l’anno scorso
ha insultato mio padre, povera anima». E l’agnello, di nuovo, gli
rispose che l’anno prima non era ancora nato, dunque non poteva aver
insultato nessuno. «Sei bravo a inventare delle scuse per tutto» gli
disse il lupo, poi saltò addosso al povero agnellino e lo mangiò”.
(Esopo VI secolo a.C.). Stai facendo letteratura, mi si obietterà, però
Esopo era uno che ne capiva abbastanza di relazioni umane, tanto è vero
che, dopo duemilacinquecento anni, noi continuiamo ad educare i nostri
figli con le sue opere. D’altra parte, non così distante dalla visione
di Esopo è un pacifista con le carte in regola come il papa, quando
dice: “In Ucraina sono stati gli altri a creare il conflitto. L’unica
cosa che si imputa agli ucraini è che avevano reagito nel Donbass, ma
parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio” (intervista al
Corriere della Sera del 3 maggio). Questo uomo, la cui saggezza continua
ad essere per me una confortante scoperta, anche quando non condivido
alcune sue opinioni, ci sta dicendo che la ricerca delle cause di un
determinato conflitto non può mai spingersi fino ad un limite oltre il
quale la stessa ricerca diventa una giustificazione di chi ha preso le
armi, ha invaso un paese sovrano per sottometterlo alle proprie
esigenze, ha infranto la legalità internazionale ingenerando il rischio
di un allargamento del conflitto potenzialmente in grado di distruggere
la specie umana.
Ora poniamoci la domanda, che molti presunti amanti della pace non si
pongono: posto che la leadership russa sembra essere in qualche modo
costretta – pena la sua soppressione – a continuare l’aggressione
dell’Ucraina fino a sottometterla o, quanto meno, ad annettere parti
consistenti del suo territorio; posto che gli ucraini (gli ucraini, non
gli americani, come da mesi il salotto della signora Gruber cerca di
convincerci) non hanno nessuna intenzione di consegnarsi al loro nemico,
quali sono le condizioni che possono favorire la fine del conflitto e
scongiurare il pericolo di un suo allargamento che ci porterebbe verso
la catastrofe?
Una delle ipotesi, alla quale sembra affezionarsi ogni giorno di più una
certa parte del fronte “pacifista”, è che se l’armata rossa (pardon:
l’armata russa) riuscisse a sopraffare l’Ucraina (cosa che al momento
non appare tra le più probabili) noi avremmo come conseguenza la pace.
Qualcuno di questo fronte, come ad esempio Il Fatto Quotidiano, sta
perseguendo questa ipotesi adottando una tecnica già sperimentata nel
corso della pandemia da Covid 19, che stimola un senso di paura in chi
ha la sventura di affidare la formazione delle proprie opinioni a questo
giornale: gli armamenti di cui dispone Putin sarebbero a tal punto
temibili per noi occidentali, da consigliarci a restarcene buoni e
abbandonare l’Ucraina al proprio destino. Si tratta di una delle tante
“bufale” in cui questo giornale è specializzato. Definirei questo modo
si informare la “tecnica dell’uovo di pasqua”: il produttore dell’uovo
sa cosa ci ha messo dentro e fa finta di chiederlo ad un presunto
“esperto”, (nella fattispecie un tal Tiziano Ciocchetti) il quale è
incaricato di rivelarci la sorpresa. Naturalmente, costui fa vaghe
allusioni, dà per certo che la Federazione russa dispone di
wunderwaffen, che allo stato sembrano essere frutto solo di trovate
propagandistiche, spaccia per sistemi d’arma moderni reperti vecchi di
40 anni che risalgono all'URSS, e così via. Ma cosa volete che sia la
correttezza dell'informazione, l’obiettivo non è quello di informare, ma
quello di ingenerare un senso di smarrimento e di angoscia in chi
legge, affinché si convinca che non vale la pena di “morire per Kiev”.
4. Mi pare chiaro che se fosse vera l’ipotesi dell’intelligence
britannica, in base alla quale in coincidenza con l’anniversario del 9
maggio, la Federazione Russa si produrrebbe in una escalation della
guerra in grado di annientare, con qualsiasi mezzo, le possibilità di
difesa dell’Ucraina, noi saremmo molto più vicini alla catastrofe
mondiale. Chi potrebbe evitarla a quel punto? I paesi occidentali
potrebbero essere tentati da un confronto diretto con la Federazione
Russa, non limitandosi più ad aiutare l’Ucraina a difendersi? Io penso
di no. Penso che l’occidente, sia pure forse aumentando gli aiuti, non
potrebbe comunque accettare il confronto diretto. Ma non perché si pensa
che la Russia sia più forte (secondo la risibile tesi del giornale di
cui sopra), ma perché l’occidente è governato da sistemi democratici, i
quali non possono – come invece può fare e fa Putin – determinare la
libera opinione dei propri cittadini. L’opinione pubblica dei paesi
occidentali non accetterebbe mai il rischio di una guerra nucleare.
Questo rischio è invece accettato – se ne discute persino ridacchiando
in certe scene che giungono dalle televisioni russe – da popolazioni la
cui informazione è condizionata totalmente da chi le governa. Questa è
la differenza: non si arriverà (per ora) alla guerra nucleare, non
perché noi abbiamo paura del più forte, ma perché qui c’è la democrazia,
lì invece c’è la schiavitù del pensiero. Enrico Berlinguer, l’ultimo
leader comunista dell’occidente, lo aveva lucidamente compreso;
viceversa i comunisti di oggi seguono le orme di Toni Negri, avendo come
unico obiettivo la destabilizzazione della democrazia.
Il problema, però, è complicato dalla eventualità molto probabile che,
una volta occupata totalmente l’Ucraina, un po’ perché gli ucraini non
accetteranno comunque di rimanere sotto il tallone russo (si chiama
resistenza, uguale-identica alla nostra Resistenza); ma, soprattutto
perché a quel punto la caratterizzazione della leadership russa sarà
tale da spingerla ad incrementare le sue pretese, noi ci troveremo di
fronte ad un rischio ancora più elevato di allargamento del conflitto.
L’esperienza europea del 1938-39 è, a tale proposito quanto mai
illuminante: l’aver ceduto alle sopraffazioni di Hitler nei confronti
dell’Austria, della Cecoslovacchia e della Polonia da parte della
Francia e del Regno Unito non è servito a mantenere la pace, ma a subire
l’invasione della Wehrmacht (la prima) e i bombardamenti a tappeto (la
seconda), con le conseguenze che tutti conosciamo, compreso il
provvidenziale intervento degli americani a liberarci dall’incubo
nazista.
Che fare, dunque? La mia opinione è che la misura con la quale i paesi
occidentali stanno affrontando questo difficile frangente sia del tutto
condivisibile ed è la prova che la democrazia, con tutte le sue
contraddizioni, resti una delle condizioni imprescindibili per la
promozione della pace. La pace, se non è un afflato misticheggiante,
coincide in tutto e per tutto con la legalità internazionale, le cui
regole sono state elaborare e sancite da tutti i paesi del mondo, non
solo da noi occidentali. Quando questa legalità è infranta, la pace è
infranta e la sorte di milioni di persone, se non l’umanità nel suo
insieme, è messa a repentaglio. Pur cercando di minimizzare il rischio
di un allargamento del conflitto, è necessario fermare Putin, ora, in
Ucraina e sperare che la mancata realizzazione dei suoi disegni induca
il popolo russo a liberarsene. Gli ucraini stanno subendo i crimini che
subiscono non solo per salvare se stessi, ma per proteggere tutti noi
dalla minaccia della catastrofe mondiale. L’umanità non sarà mai grata
abbastanza all’eroismo di questo popolo.
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