di Ugo Di Girolamo
Il volto ricostruito di un Erectus |
Con la rivoluzione del fuoco gli umani alterano uno degli aspetti fondamentali della selezione naturale, quello relativo alla competizione interspecifica per le risorse, finendo con il prevalere su tutte le altre specie animali.
Gli effetti, nel rapporto con la selezione naturale, delle altre tre rivoluzioni: agricola, industriale e delle biotecnologie saranno esaminati in prossimi articoli.
Premessa
Erwin Schrödinger, fisico teorico e filosofo della scienza, premio Nobel per le sue ricerche fondamentali sulla fisica dei quanti, in un articolo del 1950, poi riportato in un saggio pubblicato nel 1958[1], al capitolo 11 “Il futuro dell’intelligenza umana”, si poneva due interrogativi tra loro interconnessi:
1 – Il Sapiens ha raggiunto il suo genotipo stabile, come molte altre specie o è suscettibile di ulteriore evoluzione fisica?
2 – Siamo solo soggetti passivi della Selezione Naturale o è possibile in una qualche misura orientare il corso dell’evoluzione?
Oggi nessun evoluzionista, biologo o filosofo che sia, sarebbe disposto a condividere le argomentazioni e le conclusioni di Schrödinger. Tuttavia, la domanda se la produzione culturale degli umani possa avere rilevanza sui meccanismi della selezione naturale, resta.
Ed è a questa domanda che proveremo a dare una risposta. Nella lunga storia del genere Homo, dal suo apparire 2,8 milioni di anni fa ad oggi, il rapporto degli umani con la selezione naturale è sostanzialmente mutato in occasione delle tre rivoluzioni che ne hanno modificato radicalmente il modo di vita, l’organizzazione economica e sociale.
Le tre rivoluzioni cui facciamo riferimento sono: fuoco – agricoltura – industria. Ma ce n’è una quarta, che è appena cominciata, quella dell’Intelligenza Artificiale e delle Biotecnologie, che potenzialmente potrebbe addirittura rovesciare il rapporto di subordinazione che ha sino ad ora caratterizzato il genere Homo, come tutte le altre specie, funghi batteri e virus inclusi, rispetto al meccanismo selettivo.
La selezione naturale
Prima di entrare nel merito di come il rapporto umani - selezione naturale è cambiato nel corso delle rivoluzioni citate, è opportuno cercare di capire cos’è nella sua essenza la selezione naturale.
Due sono i meccanismi fondamentali, tra loro interconnessi, che regolano i viventi: la selezione naturale e la catena alimentare.
1° - La Selezione Naturale è, in ultima analisi, un meccanismo che consente l’evoluzione delle specie composta da sei diversi aspetti che insieme producono un risultato.
- Variabilità - l’evoluzione procede a partire da organismi singolarmente diversi l’uno dall’altro all’interno di una specie;
- Ereditarietà - il genoma dei genitori si trasmette ai figli;
- Mutazioni Casuali - nella trasmissione genitoriale dei geni avvengono mutazioni casuali;
- Insufficienza delle risorse - la carenza di risorse fa sì che non tutti gli organismi nati possano sopravvivere;
- Competizione per le risorse - la competizione si sviluppa sia tra gli individui della stessa specie che con le altre specie, in un particolare ecosistema;
- Differenziale riproduttivo - alcune mutazioni casuali, in un determinato habitat, danno un vantaggio riproduttivo a chi ne è portatore. I cambiamenti climatici, nel determinare la variabilità degli habitat, giocano quindi un ruolo fondamentale.
Il risultato dell’azione combinata di questi sei punti è la sopravvivenza differenziale dei portatori della mutazione positiva e questo avvia il processo evolutivo[2].
Questo meccanismo - detto selezione naturale - “….filtra gradualmente gli organismi più adatti e permette alle specie di trasformarsi in funzione delle modificazioni dell’ambiente oppure di diversificarsi in due o più specie figlie….Alcune specie si estingueranno, quando non sono più in grado di adeguarsi ai cambiamenti ambientali, ma in generale nell’albero della vita la diversità tenderà a crescere progressivamente, dando origine a forme sempre più adatte e diversificate che satureranno lo spazio ecologico disponibile.”[3]
La selezione è attiva su più livelli. Già Darwin ne “L’origine delle specie” parlava di selezione sessuale[4] e ricordava “….che la selezione può essere applicata alla famiglia oltre che all’individuo.[5]”
Per Edward O. Wilson “La selezione naturale agisce allo stesso tempo al livello del gruppo, influenzando l’efficacia delle prestazioni di ciascun gruppo rispetto a quelle degli altri gruppi.”[6] In altre parole nelle specie sociali il gruppo più efficiente, di una determinata specie, dà ai suoi membri un vantaggio riproduttivo.
2° - La Catena Alimentare. Connessa al meccanismo della selezione naturale, in particolare all’insufficienza delle risorse e alla competizione per le stesse, vi è la catena alimentare, vale a dire i modi attraverso i quali le specie assumono l’energia della quale hanno bisogno per vivere. Maynard Smith nella sua “Teoria dell’evoluzione” fa un esempio teorico di come l’attività predatoria, di una specie verso un’altra (catena alimentare), influenzi la selezione naturale della specie predata. Nello stesso testo, al capitolo 10, esamina esempi reali di cambiamenti indotti dalla predazione interspecifica.[7] L’arrivo poi di una nuova specie in un determinato ecosistema, proveniente da altro areale, può alterarlo influenzando la catena alimentare.
Nel descrivere questo meccanismo, per un’economia del discorso, limitiamoci agli ecosistemi terrestri, sorvolando su quelli acquatici, comunque simili.
Per ogni ecosistema esiste una specifica catena alimentare, ma tutte hanno un preciso ordine:
- Produttori - vale a dire i vegetali che grazie all’energia solare trasformano i minerali dell’ambiente fisico in sostanza organica;
- Erbivori - animali che mangiano i vegetali;
- Onnivori - che mangiano sia vegetali che altri animali;
- Carnivori - che mangiano la carne di altre specie animali e a volte di cospecifici;
- Decompositori - generalmente batteri che decompongono i resti animali e vegetali rimineralizzando la sostanza organica che poi viene riutilizzata dai vegetali.
Questo schema, estremamente semplificato, fa sì che ogni individuo di una specie animale o vegetale, finisca con l’essere cibo per altre specie e a volte anche dei cospecifici.
La Treccani definisce la catena alimentare come “complesso di organismi di un ecosistema che dipendono l’uno dall’altro per il nutrimento”, ma l’essenza di questa “dipendenza” altro non è che il mangiarsi l’uno con l’altro e – per dirla con Leopardi – questa è la Natura.
Una posizione intermedia nella catena alimentare
“L’evoluzione non ha avuto alcun particolare riguardo per la nostra specie la quale, come tutte le altre, non può essere citata a testimoniare altro se non la sua presenza del tutto casuale sulla terra.[8]”
L’Habilis. Una mandibola di Homo Habilis, trovata nel 2015 nel sito etiopico di Ledi Geraru, è stata datata 2,8 milioni di anni fa. È il più antico ritrovamento di questa nuova specie che apriva la linea evolutiva del genere Homo. Tuttavia, questa data non è da considerarsi definitiva, potrebbero esserci nuovi e più antichi ritrovamenti, inoltre nei pressi del lago Turkana in Kenya è stata ritrovata, nel sito Lomekwi 3, una industria litica di tecnologia Olduvaiana, non associata a resti ossei, datata 3,3 milioni di anni fa. A questo punto due sono le ipotesi o l’Habilis è molto più antico di quanto fino ad ora accertato oppure la fabbricazione e l’uso di pietre scheggiate va attribuita anche agli antenati del genere Homo. In quell’epoca circolavano intorno al lago Turkana il Kenyantropo Platyops e l’Australopiteco Afarensis.[9]
L’Habilis ha un cervello mediamente di 600/650 cc., superiore a quello degli scimpanzé, 385 cc., e a quello degli australopitechi, 400/500 cc. Simile all’Habilis è Homo Rudolfensis, dal cervello leggermente più grande, 700cc., apparso molto più tardi intorno ai 2 milioni di anni fa nello stesso areale, ma la sua esistenza non va oltre i 3-400 mila anni e poi si estingue. Anche Homo Dmanisi, datato 1,8 milioni di anni fa, già uscito dall’Africa, presenta caratteristiche anatomiche miste tra Habilis e Erectus, ma con un cervello – 600 cc. – simile a quello dell’Habilis.
La selezione naturale non ha assegnato al genere Homo al suo apparire alcuna posizione di rilievo tra i mammiferi. Al contrario lo ha collocato in una Posizione Intermedia nella catena alimentare.
Un onnivoro di taglia medio-piccola, alto da 110 a 140 centimetri, del peso di 30-40 kg, che si nutriva di vegetali, frutta e piccoli animali che riusciva ad afferrare, ma che soprattutto integrava la dieta con midollo, cervello e pezzetti di carne ottenuti spaccando e raschiando le ossa delle prede abbattute e spolpate dai grandi felini.[16] Studi approfonditi sui resti ossei di animali hanno mostrato la sovrapposizione di ferite inferte dai grandi predatori e di segni lasciati dall’attività di raschiamento con strumenti litici per ricavarne pezzetti di carne e grasso da parte dell’Habilis.[10]
Un animale insignificante
Il nuovo bipede aveva gambe relativamente corte e braccia lunghe che gli consentivano una rapida ascesa sulla cima degli alberi e agili movimenti tra i rami per sfuggire ai grandi predatori.[11]
Tra il Pliocene e il Pleistocene inferiore, l’epoca delle prime specie del genere Homo e dei suoi antenati Australopitechi, nel continente africano e in quello euro-asiatico si aggiravano tre generi di possenti felini, il Dinofelis, l’Homotherium e il Megantereon che tra le altre prede cacciavano anche i nostri antenati.
Nella grotta di Makapan in Sudafrica nel 1925 è stato trovato, insieme a numerose ossa di vari animali, il teschio di un Australopiteco. In un primo tempo si ipotizzò che quelle ossa di vari animali fossero il risultato dei pasti consumati nella grotta dall’Australopiteco. Data la grande quantità di ossa si parlò di “scimmia assassina”. Ma l’assenza di strumenti litici, un più accurato studio delle ossa e soprattutto la presenza di due fori nel cranio dell’Australopiteco fecero successivamente concludere ai paleoantropologi che i due fori corrispondevano ai due canini dell’antenato di un leopardo e che l’Australopiteco non era il cacciatore ma il cacciato. Un grosso felino lo aveva ucciso e trasportato nella grotta per nasconderlo alla vista di altri predatori e mangiarlo.[12] D’altronde pensare che un gruppo di Australopitechi potesse vivere in una grotta – e come lui l’Habilis – è una congettura altamente improbabile, una volta fiutati dai felini si sarebbero trovati in una trappola senza via di scampo. L’unico modo che gli Australopitechi e l’Habilis avevano per sfuggire ai felini era quello di arrampicarsi sulle cime degli alberi.
Oggi la sola antropomorfa non umana che dorme sul terreno è il maschio adulto di Gorilla. Abita nel folto della foresta, dove scarseggiano grandi predatori e soprattutto la sua mole è davvero notevole. Un maschio adulto è alto 185 cm e può pesare fino a 200 kg, troppo per un leopardo di 50-60 kg. Inoltre il maschio ha dei canini abbastanza sviluppati, tali da costituire un serio pericolo per un predatore. Tutte le altre passano la notte – quando iene e felini prediligono cacciare – sulle cime degli alberi ed è logico pensare che l’Habilis facesse altrettanto, viveva sul terreno, ma doveva avere sempre un albero a portata di mano.[13[1]]
Una nuova specie: l’Ergaster o Erectus africano
Tra 1,9 e 1,8 milioni di anni fa una nuova specie viene ad aggiungersi in Africa Orientale alle altre che a quel tempo già vi circolavano: due specie di Parantropi, almeno due di Australopitechi e due o forse tre del genere Homo.
L’Ergaster presenta caratteristiche anatomiche radicalmente diverse rispetto a quelle dell’Habilis.[14] Gli scheletri, i crani e le ossa varie ritrovate hanno consentito ai paleoantropologi di definire abbastanza bene le caratteristiche della nuova specie, che possiamo così riassumere:
1. Un cervello più grande, 900 cc mediamente;
2. È alto 1,80 mt.;
3. Ha braccia, in proporzione, meno lunghe dell’Habilis e gambe più sviluppate che gli consentono un’ottima locomozione, ma ha perso la capacità di arrampicarsi velocemente sugli alberi e di muoversi con scioltezza tra i rami;
4. Il prognatismo si riduce e soprattutto ha denti più piccoli e l’intestino si è accorciato, segno inequivocabile di un radicale cambiamento nella dieta alimentare.
Se Ergaster e Erectus, l’uno trovato in Africa e l’altro in Estremo Oriente, siano la stessa specie o due distinte oppure il secondo discendente dell’altro è ancora materia di dibattito tra i paleoantropologi. Certo è che non vi sono delle grandi differenze tra i due, ma solo “di dettaglio”[15]. Per quanto ci riguarda useremo qui sia il termine Ergaster che Erectus, intendendo l’Erectus africano com’è stato anche chiamato l’Ergaster.
Recenti ricerche condotte da due paleoantropologi dell’università australiana del Queensland, Kyra e Michael Westaway, ci dicono che l’Erectus asiatico si è estinto tra 108.000 e 117.000 anni fa. Il che ne fa la specie più longeva nel cespuglio degli umani.
In definitiva l’Ergaster o Erectus per le sue caratteristiche fisiche, per il suo vivere a terra è molto più simile al Sapiens attuale che non all’Habilis, al Rudolfensis o al Dmanisi, tant’è che alcuni paleoantropologi sono propensi a considerare l’inizio del genere Homo proprio con l’Ergaster e non più con l’Habilis. Quest’ultimo, tuttavia, è considerato dai più il progenitore degli umani essenzialmente per due caratteristiche: un cervello più grande di quello degli Australopitechi, nonché per la tecnologia olduvaiana, vale a dire la scheggiatura da un lato di pietre per raschiare pezzetti di carne o spaccare ossa e crani per mangiare midollo e cervello di prede spolpate dai grandi felini.
Non è chiaro al momento se l’Ergaster sia un discendente dell’Habilis o del Rudolfensis. Le trasformazioni che ha subìto potrebbero essere state innescate da cambiamenti climatici che portarono ad un ulteriore inaridimento dell’Africa 1,9 milioni di anni fa.[17]
Per Wrangham un ruolo fondamentale nella transizione lo ha giocato l’assunzione di una dieta a base di cibi cotti: tuberi, altri vegetali e carne. Con l’Ergaster o Erectus “….incontriamo la riduzione più significativa nelle dimensioni dei denti avvenuta negli ultimi sei milioni di anni dell’evoluzione umana, l’aumento più rilevante delle dimensioni corporee e la scomparsa di una serie di tratti che caratterizzavano spalle, braccia, tronco e che chiaramente servivano agli Habiles ad arrampicarsi con facilità. Inoltre ….l’Erectus aveva una gabbia toracica meno svasata e un bacino più stretto, caratteristiche, queste, che indicano la presenza di un apparato digerente più piccolo”[18].
Va tenuto presente, come ricorda Wrangham, che i cambiamenti nella dieta possono determinare cambiamenti nell’anatomia di una specie molto rapidamente. Gli studi condotti negli anni ‘80 sui fringuelli delle Galapagos da Peter e Rosemary Grant ne danno conferma. “Altri dati ci dicono che se una trasformazione ambientale è permanente anche le specie mutano in modo permanente e anche in questo caso si tratta di una trasformazione rapida….Secondo il biologo evoluzionista Stephen J. Gould …. Il tempo medio necessario a una specie per completare una trasformazione evolutiva [è] tra i 15.000 e 20.000 anni”.[19]
In sintesi, per Wrangham, denti piccoli e intestino corto sono le prove inequivocabili dell’assunzione di una dieta a base di cibi cotti. Ma per poter cuocere il cibo era necessario il pieno controllo del fuoco.
Le prove archeologiche sull’uso del fuoco non vanno oltre 1,5 milioni di anni fa, ritrovate nella grotta di Swartkrans, in Sudafrica. Ma, come ci avverte Wrangham, le prove archeologiche possono essere state cancellate dagli eventi atmosferici, dai crolli delle grotte oppure, aggiungo, non le abbiamo ancora trovate.[20] Tuttavia la prova più importante sull’uso del fuoco ci è data dai cambiamenti anatomici innescati dall’adozione di una dieta fatta prevalentemente di cibi cotti. Pertanto l’uso attivo del fuoco va retrodatato ad almeno 1,9 - 1,8 milioni di anni fa.
Anche l’Habilis doveva avere una certa familiarità con il fuoco. Molte specie vanno a rovistare tra i residui di un incendio in cerca di cibo. Negli ultimi anni poi, è stato osservato e studiato in Australia il comportamento di alcuni rapaci, nibbi e falchi, che prelevavano dei rametti incendiati e li lasciavano cadere in altre parti sull’erba secca per estendere gli incendi in modo da stanare piccoli animali da cacciare. C’è stato chi ha osservato questi uccelli all’opera per far superare una barriera all’incendio rappresentata da un fiume.
Ma fin qui siamo ad un uso passivo del fuoco. Anche un Habilis o Rudolfensis poteva andare a rovistare tra i residui di un incendio in cerca di semi e tuberi cotti e animaletti abbrustoliti potendo così apprezzare, seppur occasionalmente, i cibi cotti; e magari trasportare qualche ramo bruciacchiato da altre parti per estendere un incendio scoppiato naturalmente.
Altra cosa è portarsi via dei carboni ardenti per riavviare il fuoco nell’insediamento, tenerlo sotto controllo, alimentarlo e soprattutto proteggerlo dall’acqua nella stagione delle piogge.
Johan Goudsblom avverte che su come possa essersi svolta la transizione all’uso attivo del fuoco si possono fare “solo dotte congetture”[21]. Vale a dire, di preciso non lo sappiamo.
Bifacciale |
L’Ergaster continua ad utilizzare la tecnologia olduvaiana, migliorandone la fattura, ma introduce due importantissime innovazioni: l’ascia a mano e l’uso del fuoco.
1. L’Ascia a Mano o bifacciale è una grossa pietra piatta scheggiata simmetricamente sui due lati, appuntita alla base, arrotondata nella parte superiore, che poteva essere impugnata nella mano. Con uno strumento del genere, detto anche amigdala per la sua somiglianza con una mandorla, si poteva scavare più facilmente nel terreno in cerca di tuberi oppure poteva consentire ad un gruppo di cacciatori di tendere un agguato a un erbivoro di taglia medio-piccola, circondarlo e abbatterlo con le proprie mani che impugnavano una bifacciale. In altre parole l’Ergaster si era dotato di un potente artiglio che la selezione naturale non gli aveva fornito e che gli consentì di avere a disposizione una maggiore quantità di carne nella sua dieta onnivora. Va comunque tenuto presente che al momento i più antichi ritrovamenti archeologici di bifacciali risalgono a 1,5 milioni di anni fa. Per quanto ne sappiamo oggi per almeno 300 mila anni l’Erectus potrebbe aver usato solo la tecnologia olduvaiana.Per Michael Chazan, archeologo dell’Università di Toronto, “Il controllo del fuoco è stato un punto di svolta nell’evoluzione umana. L’impatto della cottura degli alimenti è ben documentato, ma l’impatto sul controllo sul fuoco potrebbe aver toccato tutti gli elementi della società umana”.[22]
Infatti, la “domesticazione” del fuoco innesca una serie di effetti a cascata che determineranno il grande successo dell’Ergaster-Erectus.
LINEE EVOLUTIVE DELLE SCIMMIE ANTROPOMORFE
* I numeri a destra indicano la data stimata in milioni di anni della separazione |
5. Citazione di Darwin riportata da Edward O. Wilson, “Le origini profonde delle società umane”, R. Cortina Editore, 2020, pag 16.
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