4 mag 2019

Le Basi Materiali Del Rapporto Uomo – Donna

Origini - Evoluzione – Prospettive

di Ugo Di Girolamo
A Livia
che potrà verificarne la veridicità

Uno storico israeliano, discutendo del ruolo delle svariate forme di gerarchie nelle società umane, afferma: “..c’è una gerarchia di genere. Ovunque le genti sono divise in uomini e donne. E quasi ovunque gli uomini hanno avuto la meglio, almeno a partire dalla Rivoluzione agricola.”[1]
In realtà, l’origine del predominio maschile può essere rintracciata molto al di là dei 10.000 anni della rivoluzione agricola, fino alla nascita del genere Homo.
Per Craig Stanford, etologo e antropologo della University of Southern California, il modo di vita e la struttura sociale degli australopitechi – gli antenati del genere Homo - erano sostanzialmente identici a quelli degli scimpanzé (Pan Troglodytes).[2]
fra gli scimpanzé gran parte dell’attività venatoria è effettuata dai maschi, questi inoltre pattugliano sistematicamente i confini del territorio e fanno incursioni nel territorio di comunità confinanti per ucciderne i maschi e rapire femmine”.[3]
Raggiunta la pubertà a 12 anni, le femmine possono emigrare in altre comunità di scimpanzé e ciò garantisce l’interscambio genetico necessario alla specie. I maschi, invece, non si muovono mai dalla comunità di origine, pena la morte, e appena adulti cominciano a confrontarsi con tutte le femmine della comunità, per stabilire la loro supremazia. Il giovane maschio, una volta sottomesse le femmine, comincia a confrontarsi con gli altri maschi per salire quanto più possibile nella scala gerarchica maschile del gruppo.
“In ogni gruppo organizzato di mammiferi, per quanto intensa sia la cooperazione, c’è sempre una lotta per il predominio sociale. Nel corso di questa lotta, il singolo individuo adulto perviene a un particolare rango sociale, che gli assicura una posizione, o status, nella gerarchia del gruppo.”[4]
La lotta per la gerarchia negli scimpanzé porta a un continuo stato di tensione tra i maschi, che spesso si comportano in modo brutale con le femmine per tenerle subordinate.
La gerarchia esiste anche tra le femmine e le giovani arrivate da altre comunità sono in fondo alla scala.
Più complesse e meno violente sembrano le dinamiche sociali tra i bonobo, dove le femmine formano alleanze tra di loro per tener testa ai maschi.
I bonobo, circoscritti a piccole aree nel bacino del Congo, costituiscono l’altra specie di scimpanzé che si suppone abbia avuto origine due milioni e mezzo di anno fa, vale a dire quando è apparso l’Homo abilis.
Con la comparsa di un nuovo genere (Homo) nella linea evolutiva della superfamiglia delle scimmie antropomorfe, alla quale appartengono (Gibbone, orango, gorilla, scimpanzé, bonobo e umani), comincia l’uso della pietra scheggiata.
L’uso di ciottoli scheggiati, con un lato tagliente (cultura olduvaiana), consente di accedere a parti di animali di medie e grandi dimensioni, uccisi dai grandi predatori, il cervello e il midollo osseo, ricchi di grassi e proteine, nonché piccoli resti di carne attaccati alle carcasse.
Con l’Homo habilis  comincia un lento processo di crescita del cervello degli umani che si compirà con il massimo sviluppo quantitativo delle sue dimensioni nei neanderthaliani, oltre 2 milioni  e mezzo di anni dopo.

LA PRIMA GRANDE RIVOLUZIONE

Le varie specie emerse nel nuovo genere homo sono degli onnivori opportunisti e cacciatori di piccoli mammiferi, e sono a loro volta oggetto dell’attenzione dei predatori più grandi. Ma a un certo punto della storia evolutiva questa posizione intermedia viene abbandonata e gli umani si pongono al top della catena alimentare e cominciano a cacciare prede di grandi dimensioni.
Cos’è avvenuto?
 L’uso generalizzato del fuoco e probabilmente il miglioramento delle tecniche di caccia in gruppo ha consentito agli umani di fronteggiare e tenere a bada i grandi predatori.
Uccidere una preda di grandi dimensioni significa, infatti, attirare immediatamente l’attenzione di iene, felini e canidi viventi in zona. Senza la capacità di tenere lontani questi predatori, catturare una grossa preda equivaleva quasi sempre a regalarla a questi ultimi, come capita oggi nei parchi africani ai ghepardi, che dopo aver abbattuto un’antilope, spesso se la vedono portar via da iene, leopardi e leoni.
L’attività venatoria delle due specie di scimpanzé verso i piccoli mammiferi è praticata prevalentemente dai maschi. Il più delle volte le femmine si limitano a seguire per poter ottenere pezzi di carne dai maschi. La condivisione della carne negli scimpanzé è un processo lungo, il maschio che ha catturato la preda comincia immediatamente a mangiarla e solo dopo, con calma, comincia ad offrire dei pezzi di carne, non a tutti i partecipanti alla caccia, ma solo ai suoi amici, che lo spalleggiano nella lotta per la gerarchia, e alle femmine per ottenerne i favori, in particolare quelle in estro.[5]
Diversa, meno rude, è la condivisione tra i bonobo.
Le femmine si impongono subito nella ripartizione, ma anche tra i bonobo c’è l’uso finalizzato della divisione della carne.
Anche tra gli umani l’attività venatoria è cosa che riguarda prevalentemente i maschi, come è stato osservato negli ultimi cacciatori-raccoglitori del XIX e XX secolo.
Gli umani maschi, come gli scimpanzé, sono mediamente più grandi, più forti e aggressivi delle femmine.
Come pure la difesa del territorio trofico dalle incursioni predatorie provenienti da altre comunità confinanti è compito dei maschi del gruppo, della tribù.
L’evoluzione biologica ha dotato il maschio di una maggiore quantità di testosterone, per consentirgli di svolgere i ruoli più pericolosi: tenere a bada i grandi predatori, affrontare i rischi della caccia ad animali di grandi dimensioni, contrastare incursioni nei propri territori o praticarne in quelle di altre comunità. Tutte attività molto pericolose, che possono portare alla morte, ma la perdita di un  maschio, ai fini riproduttivi della specie, non è un grave problema, il ruolo fondamentale è quello della donna.

UNA DIFFERENZA FONDAMENTALE

Gli umani e gli scimpanzé condividono il 98,4% del DNA, questi ultimi sono geneticamente più vicini a noi che non ai gorilla e agli orango. Ma tra le comunità di scimpanzé e quelle delle specie del genere homo vi è una rilevante differenza: gli umani sono fondamentalmente e biologicamente una specie che forma coppie tendenzialmente stabili.[6] Anche altri mammiferi terrestri formano coppie stabili, ad esempio castori, coyote, sciacalli, gibboni, ma ogni coppia vive isolata, separate dalle altre. Per gli umani, invece, le coppie vivono insieme ad altre coppie, in comunità.
nelle società di cacciatori-raccoglitori…la maggioranza dei maschi è in grado di mantenere una sola famiglia. Però alcuni uomini potenti hanno molte mogli”[7]
È quanto, ad esempio, avveniva tra gli indiani delle praterie del middle west americano ancora nel XIX secolo.
In sintesi, nelle società dei cacciatori-raccoglitori la forza fisica del maschio, la sua aggressività, la difesa del territorio trofico e il suo svolgere il ruolo di fonte energetica fondamentale nel procacciamento del cibo e specificatamente, del più appetibile, la carne, danno al maschio e alle gerarchie maschili il predominio sulle donne.

LA SECONDA GRANDE RIVOLUZIONE

Con l’avvio della rivoluzione agricola cambia radicalmente il rapporto tra umani e natura. Non più semplice ricerca del cibo, mediante caccia e raccolta nel proprio territorio, ma produzione del proprio nutrimento.
In ultima istanza coltivare significa  intervenire nella competizione selettiva tra le specie vegetali, combattendo erbacce infestanti e altre essenze vegetali non utili e favorendo – mediante vari accorgimenti (in primis l’acqua) – le specie vegetali utili alla nutrizione umana. Più o meno lo stesso discorso vale per l’allevamento.
L’intervento umano selettivo viene operato non solo tra specie utili e non, ma anche all’interno delle specie utili per favorire una maggiore resa di cibo.
Nelle nuove e più complesse organizzazioni sociali contadine, rispetto alle tribù di cacciatori-raccoglitori, l’energia fondamentale per produrre cibo resta quella umana. Ancora una volta i maschi occupano il ruolo fondamentale nell’attività di produzione degli alimenti. Non che le femmine non partecipassero alle attività agricole, ma la prevalente energia fisica maschile e la necessità per le donne di accudire direttamente la prole, le relegano in un ruolo secondario.
Nel nuovo quadro della rivoluzione agricola, l’attività dei maschi nello svolgimento dei lavori più pesanti nei campi e l’accresciuto ruolo nella guerra permanente tra i vari gruppi umani, riproducono la prevalenza del genere maschile su quello femminile.

LA RICERCA DI NUOVE FONTI ENERGETICHE

Con lo sviluppo delle società contadine si avvia un processo di potenziamento della forza energetica umana con l’invenzione di strumenti e meccanismi manovrati a mano e, nel contempo, di ricerca di nuove fonti energetiche.[8]
L’uso del fuoco segna il primo vero distacco degli umani dalle altre specie animali, ma è con lo sviluppo avanzato delle società contadine che il fuoco diventa mezzo indispensabile per costruire vasellame e oggetti metallici.
La domesticazione di varie specie animali aggiunge una nuova fonte energetica per le arature, i trasporti e le guerre.
L’energia eolica serve in primo luogo per la navigazione, ma successivamente, per la realizzazione dei mulini a vento.
L’energia idraulica è tra le più usate nel mondo antico e nel medioevo, il suo uso si estende fino alla prima fase della rivoluzione industriale; fabbriche tessili e di lavorazione dei metalli ne fecero largo uso ancora nella prima metà del XIX secolo in Inghilterra, prima che si affermasse definitivamente il motore a vapore.[9]
Tra i tanti sconvolgimenti portati dalla rivoluzione agricola al mondo dei cacciatori raccoglitori, ve n’è uno che riguarda un aspetto fondamentale dell’etogramma degli umani, la gerarchia. Nel mondo preagricolo gli umani, che appartenessero a una tribù più o meno grande, vivevano distribuiti sul territorio in piccoli gruppi nei quali ci si conosceva tutti e ogni componente del gruppo – maschio o femmina che fosse – appena adulto iniziava una propria battaglia personale per scalare, quanto più gli fosse possibile, la gerarchia della comunità.
A rivoluzione agricola affermata, l’esplosione demografica, resa possibile dalla maggior quantità di cibo disponibile, porta alla formazione di grandi e complesse comunità sfociate poi in entità statuali.
Tra la fine del settimo e l’inizio del sesto millennio a.C., nella Mesopotamia centro-meridionale si affermarono due culture, quella Samarra, nell’area di Bagdad, e quella di Ubaid, nella piana alluvionale della Bassa Mesopotamia.
Si tratta di comunità “…fortemente sedentarie, con una prospera agricoltura facente uso di tecniche di irrigazione e di controllo dell’acqua, e con una struttura sociale probabilmente organizzata per grandi nuclei familiari o clanici, che dovevano costituire le principali unità di produzione e di consumo.”[10]
E ancora i “… dati archeologici a nostra disposizione ci permettono di riconoscere i segni dell’emergere di differenze sociali e forse anche economiche tra i membri delle comunità meridionali, e di ipotizzare l’origine di forme di iniziale controllo politico da parte di alcune figure o famiglie di alto rango.”[11]
In altre parole, ci troviamo di fronte alla nascita delle classi sociali, all’interno delle quali si esplicherà d’ora in avanti la lotta per la gerarchia, e alla nascita della famiglia patriarcale, che costituirà un elemento caratterizzante delle società contadine.
almeno a partire dalla rivoluzione agricola, le società umane sono state per la maggior parte società patriarcali che tenevano in considerazione gli uomini molto più che le donne.”[12]

LA DONNA NELLA FAMIGLIA PATRIARCALE

Di quale fosse la considerazione delle donne nel mondo contadino ce ne dà un esempio la Bibbia: nel Deuteronomio 22:28-29 si decreta che “se un uomo troverà una giovane vergine non promessa, l’afferrerà e giacerà con lei e verranno trovati, l’uomo che avrà giaciuto con lei dia al padre della giovane cinquanta denari ed ella gli sia moglie.”[13]
Che dire?! Lo stupro non è violenza contro un’altra persona di sesso femminile, ma un danneggiamento di proprietà e il danneggiatore (lo stupratore) pagherà un indennizzo al danneggiato (il padre) e un matrimonio riparatore, che passa la “proprietà dal danneggiato al danneggiatore, chiuderà la vicenda.
Nella civilissima e democratica Atene periclea, la donna non votava, non poteva partecipare alle assemblee, solitamente non era istruita, non poteva svolgere funzioni pubbliche, non poteva decidere chi sposare, legalmente era di proprietà del padre o del marito e viveva praticamente “agli arresti domiciliari” nel gineceo. [14]
Cosa fosse, in termini giuridici, la famiglia patriarcale nella Roma repubblicana prima e imperiale poi ce lo spiega Eva Cantarella: “quello che accomunava i membri di una famiglia antica non era il vincolo di affinità o di parentela. Era, come abbiamo detto, la sottoposizione a un capo, i cui poteri sui diversi membri della famiglia [servi compresi] avevano funzione potestativa (e non protettiva). Essi erano previsti, infatti, al fine di consentire il governo del gruppo, organizzandone la sopravvivenza: e quindi – ad esempio – costringendo i sottoposti a contrarre i matrimoni ritenuti opportuni, vendendoli o cedendoli come schiavi a garanzia di un  debito, ed esercitando su di loro un potere correttivo che comprendeva anche il diritto di vita e di morte.”[15]
Il fatto che tutti i membri della famiglia romana fossero sottoposti al pater familias significava – nel campo del diritto privato – non essere titolari di alcun diritto. Il pater familias era il solo soggetto al quale facevano capo tutti gli interessi del gruppo.
Il quadro generale di subordinazione delle donne nelle società contadine non ha impedito ad alcune di esse, particolarmente dotate di bellezza, di intelligenza e determinazione, di raggiungere i vertici della loro società. Senza però modificare in nulla la condizione generale di subordinazione femminile.
Penso, ad esempio,  a Livia Drusilla, moglie dell’imperatore Augusto, che era la prima consigliera del marito nella gestione dell’impero.
O anche Teodora, di umili origini, che, divenuta moglie di Giustiniano I, di fatto gestì l’impero bizantino insieme al marito, tanto che si parlò di diarchia.
O ancora Elisabetta I, che guidò con fermezza l’Inghilterra nella seconda metà del XVI secolo. Tuttavia, “ durante i 45 anni di regno di Elisabetta, tutti i membri del parlamento erano uomini, tutti gli ufficiali della marina e dell’esercito erano uomini, tutti i giudici e avvocati erano uomini, tutti i vescovi e arcivescovi erano uomini, tutti i teologi e sacerdoti erano uomini, tutti i dottori e chirurghi erano uomini, tutti gli studenti e professori in tutte le università e in tutti i college erano uomini, tutti i sindaci e sceriffi erano uomini, e quasi tutti gli scrittori, architetti, poeti, filosofi, pittori, musicisti e scienziati erano uomini.”[16]

LA TERZA RIVOLUZIONE METTE IN CRISI LA GERARCHIA DI GENERE

Questo quadro di totale emarginazione e subordinazione delle donne verrà messo radicalmente in discussione dalla terza grande rivoluzione umana, quella industriale. Anche questa, come le prime due, modificherà in maniera sostanziale il rapporto degli umani con la natura.
Con l’uso dei motori, a vapore prima e poi a scoppio ed elettrici, si marginalizzerà il ruolo della forza fisica umana (potenziando nel contempo in maniera esponenziale la produttività del lavoro) e delle altre fonti energetiche, animali, eoliche e idrauliche. Quest’ultima, a partire dal 1870, si trasformerà fornendo energia elettrica. Nuove fonti energetiche, il carbone e poi il petrolio, faranno funzionare i motori, prima a vapore e poi a scoppio ed elettrici, che solleveranno l’acqua dai pozzi e dalle miniere, che velocizzeranno e regolarizzeranno i trasporti per mare e per terra, che manovreranno l’industria siderurgica, che muoveranno i telai e poi le catene di montaggio delle fabbriche.
Ma le trasformazioni indotte dalla rivoluzione industriale non riguarderanno solo gli aspetti materiali – economici e fisici - della produzione di beni e servizi per l’esistenza degli umani. L’intera organizzazione sociale e gli assetti di potere saranno stravolti.
La rivoluzione industriale avvierà un processo di modificazione dei rapporti di potere tra uomo e donna, processo tutt’ora in corso.
In genere i processi culturali sono sempre più lenti di quelli economici, e non sempre immediatamente percepibili, ma per avere un’idea plastica, istantanea, dei profondi cambiamenti avvenuti si può provare a paragonare la condizione delle donne dell’Atene contemporanea con quella dell’Atene periclea precedentemente riportata.
Le ateniesi di oggi possono votare, partecipare a qualsiasi assemblea, possono svolgere ruoli di governo e ricoprire qualsiasi funzione pubblica, amministrativa e giurisdizionale, possono decidere chi sposare, svolgere qualsiasi attività economica e legalmente non appartengono a nessuno, ma solo a se stesse.
Com’è avvenuto un tale rovesciamento?
Cos’è che nel concreto ha fatto crollare il muro di esclusione delle donne esistente nell’Inghilterra di Elisabetta I?
E cosa c’entra la rivoluzione industriale con questo radicale cambiamento dei rapporti uomo-donna?
“Per definizione, una rivoluzione industriale consiste in un aumento della percentuale di manodopera impegnata nell’attività industriale e in altre attività non legate all’agricoltura.”[17]
Vale a dire, affinché si possa parlare di rivoluzione industriale deve diminuire la percentuale di addetti all’agricoltura e crescere quella degli addetti alle manifatture. L’Inghilterra, incluso il Galles, è stato il primo paese ad avviare l’industrializzazione nella seconda metà del 1700.
In un secolo, 1750-1850, la popolazione inglese passò da 6,1 milioni a 17,9. Nello stesso periodo la percentuale di popolazione che viveva in città passò dal 16,7% al 40.8% e gli addetti all’agricoltura da percentuali superiori al 50% ad appena il 22%. Nei primi anni del ‘900 gli addetti all’agricoltura in Inghilterra si sono ridotti al  9%.
Questa grande crescita della popolazione e l’impetuoso travaso dalle campagne alle città fu, ovviamente, reso possibile da una più o meno coeva “piccola rivoluzione agricola” che incrementò la superfice coltivata (bonifiche e scomparsa del maggese), aumentò i rendimenti dei terreni (nuova rotazione con trifoglio e aumento della concimazione) e la produttività del lavoro degli addetti (inizio della meccanizzazione. Si pensi che il solo passaggio dal falcetto a mano alla falce immanicata consentì di mietere la quantità di grano prima raccolta da 5 operai con solo 2).[18]
Tutti i paesi che hanno compiuto l’industrializzazione si ritrovano oggi con percentuali di addetti all’agricoltura che oscillano intorno al 4% - 5% e anche meno. Da anni gli USA con meno del 4% di addetti agricoli sono il principale esportatore al mondo di derrate alimentari.
La famiglia contadina patriarcale, che nell’Europa preindustriale includeva all’incirca l’80% della popolazione, era per molti aspetti un’azienda produttiva e di consumo, guidata dal padre, ma dove tutti con il loro lavoro concorrevano al risultato economico, bambini inclusi. I figli maschi, quando si sposavano, continuavano per lo più a rimanere nella famiglia, ed erano gli unici che alla morte del padre ereditavano le proprietà di famiglia (in certe aree solo il primogenito), alle figlie femmine toccava solo la dote al momento del matrimonio, con il quale lasciavano la famiglia di origine per entrare in quella del marito.[19]
Nella famiglia patriarcale la donna era ingabbiata in una struttura economica e di potere che la relegava in un ruolo del tutto subordinato.
Per millenni c’è stato un solo modo per una giovane donna di sfuggire alla famiglia patriarcale: finire in un bordello.
La forza disgregatrice dell’industria verso l’ordine patriarcale fu percepita in maniera chiara, netta, evidente, dai primi studiosi della famiglia già nel corso dell’800.
Frederich Le Play[20] additava l’industria come causa precipua  dei dissidi familiari. Infatti, sottraendo le donne giovani al controllo diretto del capo famiglia e fornendo loro mezzi autonomi di sussistenza, si sarebbe minato non solo l’ordine della famiglia, ma con essa la solidità delle stesse strutture sociali.”[21]

1° ELEMENTO DI ROTTURA: LA FINE DELLA FAMIGLIA PATRIARCALE

La distruzione della famiglia patriarcale, sostituita dalla famiglia nucleare, avvenuta nel corso dell’800, e anche del ‘900 (per quei paesi in ritardo nell’industrializzazione, come nel caso italiano che ancora nel 1951 presentava percentuali di addetti all’agricoltura del 45%) rappresenta la prima fondamentale rottura della pesante condizione di subordinazione delle donne.
L’estendersi del “sistema di fabbrica”, incrementò l’utilizzazione e la mobilità delle giovani donne e favorì l’inurbamento di un elevato numero di giovani di ambo i sessi.
L’indipendenza economica che il lavoro di fabbrica in città poteva garantire, consentì ai giovani di sganciarsi da quella autentica gabbia rappresentata dalla famiglia patriarcale, che relegava le donne ad un ruolo quasi servile e gli stessi figli maschi (sposati inclusi) alla subordinazione verso il capofamiglia.

2° ELEMENTO DI ROTTURA: LA MARGINALIZZAZIONE DELLA FORZA FISICA UMANA NEI PROCESSI PRODUTTIVI

L’altro elemento fondamentale che contribuì a scardinare la subordinazione gerarchica della donna fu la marginalizzazione del lavoro fisico nei processi produttivi. L’uso di motori nelle fabbriche e la meccanizzazione della produzione agricola rese la forza fisica maschile non più centrale e fondamentale.
La clamorosa dimostrazione di questo processo compiuto nel corso dell’800 e nel primo decennio del ‘900 la si ebbe con la prima guerra mondiale. I 4 principali protagonisti: Inghilterra, Francia, Germania (largamente industrializzati) e Italia (che aveva appena superato la fase di decollo industriale), furono costretti a inviare al fronte la stragrande maggioranza dei maschi in età lavorativa. A quel punto l’apparato industriale, potenziato e finalizzato alla guerra, e la stessa produzione agricola fu largamente garantita dal lavoro femminile.
Ma i tempi della storia economica non sono allineati con quelli della mentalità. I cambiamenti culturali, come prima dicevamo, sono sempre più lenti di quelli economici. 10 mila anni di patriarcato con i relativi ruoli di genere costruiti e definiti nel corso di svariati secoli non si annullano completamente nel giro di uno o due secoli. V’è da considerare poi che lo sviluppo ineguale sul pianeta fa coesistere società largamente industrializzate con vaste aree di arretratezza contadina (o peggio agro-pastorale).
Nel tentativo di individuare gli elementi fondanti dell’ordine ineguale del rapporto uomo-donna, si è sin qui evitato di affrontare il discorso di genere. Vale a dire delle caratteristiche che la mera cultura attribuisce alla mascolinità e alla femminilità.
In ogni società del passato, ma il discorso è estensibile anche alle società contemporanee, nessuno è maschio o femmina solo perché nasce con il pene o con l’utero. Per appartenere a un genere bisogna assumere tutte le caratteristiche e i compiti, e persino l’abbigliamento, che le diverse culture umane hanno, di volta in volta, elaborato e assegnato ai due generi.
Se guardiamo il ritratto di Luigi XIV, re di Francia dal 1643 al 1715, ci accorgiamo che oltre alla spada, che caratterizza i maschi, ha capelli lunghi, calze lunghe e tacchi alti, caratteristiche queste che due secoli dopo identificheranno il genere femminile. In Italia ancora qualche decennio fa, i pantaloni significavano maschio e le gonne femmina.
I ruoli di genere hanno svolto una funzione identificativa e di mantenimento, anche in termini giuridici, dell’ordine ineguale del rapporto uomo-donna. Con la rivoluzione industriale questa funzione  viene messa drasticamente in crisi.
Accanto o appena dopo l’avvio della distruzione della famiglia patriarcale e della marginalizzazione della forza fisica umana nei processi produttivi, si è andata sviluppando una battaglia culturale sui ruoli di genere.
Data significativa di questo processo può essere considerata il 1865, quando nasce in Inghilterra un comitato per l’estensione del diritto di voto alle donne e per la parità di genere nel diritto di famiglia. Il primo paese al mondo a concedere il diritto di voto alle donne fu la Finlandia nel 1906, in Inghilterra e in Germania l’ottennero nel 1918, in Olanda e Belgio nel 1919, negli USA nel 1920, in Francia e in Giappone nel 1945 e in  Italia nel 1946.
Sul finire del XX secolo nei paesi OCSE (e non solo), la donna svolge qualsiasi attività, anche quelle un tempo ritenute esclusive del ruolo maschile.
Favorite dalla guerra moderna, che non prevede più il contatto fisico diretto col nemico, si combatte a distanza, con armi che non richiedono alcuno sforzo fisico per essere usate, le donne sono penetrate persino nell’esercito e ne hanno cominciato a scalare le gerarchie di comando.

LA  4° RIVOLUZIONE: L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E LE BIOTECNOLOGIE

Intanto, negli ultimi decenni del XX secolo è partita una nuova rivoluzione. Qualcuno l’ha definita 4° rivoluzione industriale; impropriamente, perché non si tratta di un potenziamento o estensione della rivoluzione industriale, ma di qualcosa di radicalmente innovativo che cambierà nel profondo l’organizzazione sociale degli umani.
È la rivoluzione dell’intelligenza artificiale.
“I progressi nelle capacità intellettuali e fisiche delle macchine cambieranno il modo in cui viviamo…..rivolteranno il mercato del lavoro, rimescoleranno il nostro ordine sociale e cambieranno i connotati delle nostre istituzioni pubbliche e private”[22], similmente a quanto avvenuto con la rivoluzione industriale rispetto al precedente mondo contadino.
Con la seconda rivoluzione scientifica partita nel XVII secolo (la prima fu quella ellenista nel terzo secolo a.C.)[22] il ruolo della scienza è diventato centrale nello sviluppo delle società umane. Senza la scienza non ci sarebbe stata rivoluzione industriale, né ci sarebbe stata l’autentica esplosione della produttività del lavoro umano.
Nel corso degli ultimi due secoli il ceto sociale costituito da quanti si dedicano esclusivamente al lavoro di ricerca scientifica è andato crescendo quantitativamente e qualitativamente. Nel frattempo categorie sociali fondamentali nel mondo industrializzato, quali operai e impiegati, sono in declino e si avviano in un prossimo futuro a drastici ridimensionamenti, i primi insidiati dai robot, i secondi dall’informatizzazione sempre più avanzata dei processi produttivi e amministrativi.  Ancor più sconvolgente sarà l'impatto che avrà la capacità acquisita - e in via di perfezionamento - di modificare il genoma di tutti i viventi, piante, animali e umani.
L’avanzata dei sistemi  intelligenti nelle società umane fornirà un potente stimolo alla crescita ulteriore del ceto sociale degli addetti alla ricerca scientifica. “Le macchine funzionano sulla base di programmi scritti dagli uomini e operano in contesti definiti da scelte e conoscenze umane.”, “l’intelligenza delle macchine è definita dall’intelligenza delle persone che le progettano e le producono.”[24]
Centrale sarà quindi il ruolo della ricerca scientifica nell’intelligenza artificiale e e nelle biotecnologie e in generale in ogni settore delle attività umane.
In che misura tutto ciò influenzerà il rapporto di genere?
Proprio negli ultimi decenni del XX secolo, quando parte la 4°grande rivoluzione, comincia la scalata delle donne al mondo del sapere e della ricerca. Nel 1981 negli USA la percentuale di donne laureate  supera quella maschile, dieci anni dopo il sorpasso avviene anche in Italia, un paese tra i più avanzati industrialmente che sul terreno della parità di genere arranca e segue gli altri (nel 2015 nella fascia di età 25/29 anni, in Europa lavorava il 67,3% delle donne, in Italia solo il 45,5%).
Secondo i dati Eurostat, nel 2015 in Europa la percentuale di donne laureate è salita al 58% contro il 42% dei maschi. Dal rapporto 2017 di Almalaurea, in Italia le donne si diplomano con un voto medio superiore a quella dei maschi, 78,6 su cento contro 75,1. Come pure all’università il voto medio femminile è 103,4 contro 101,3 dei maschi. [25]
Ma i dati Eurostat dicono anche che nelle posizioni manageriali e nella ricerca scientifica le donne occupano solo un terzo di questi settori.
E’ una situazione destinata a rimanere stabile e, quindi, a perpetuare la prevalenza del genere maschile?
I numeri fanno supporre di no. Le donne hanno scalato un’altra posizione decisiva: i Phd.
I dottorati di ricerca sono assegnati in prevalenza alle donne. Persino in Italia, che sulle questioni di genere non brilla, il 54% dei dottorati è assegnato alle donne.
Il dottorato è il primo indispensabile passo per accedere alle posizioni manageriali e alla ricerca scientifica. Se ne può quindi dedurre che prima o poi anche in questi ruoli centrali e decisivi le donne sopravanzeranno i maschi.
Nelle società avanzate del prossimo futuro il confronto tra maschi e femmine avverrà sempre più sul terreno delle capacità cognitive, che sono uguali nei due generi, seppure con qualche caratterizzazione empatica nelle donne e competitiva nei maschi.
In conclusione, visti gli attuali trends statistici, è ipotizzabile che fra non molto maschi e femmine, nei ruoli centrali della società si equivarranno.
Ma è probabile che abbia ragione Aldo Cazzullo quando dice che il nostro sarà il secolo del sorpasso e “Le donne erediteranno la terra”.[26]




ABSTRACT
Nelle società di cacciatori raccoglitori la forza fisica del maschio, la sua aggressività, l’esercizio della difesa del territorio trofico, il suo svolgere il ruolo di fonte energetica fondamentale nel procacciamento del cibo e in particolare del più appetibile, la carne, danno al maschio e alle gerarchie maschili il predominio sulla donna.
Con la rivoluzione agricola l’attività dei maschi nello svolgimento dei lavori più pesanti nei campi e l’accresciuto ruolo nella guerra permanente tra i vari gruppi umani, riproducono la prevalenza del genere maschile su quello femminile.
La rivoluzione industriale distrugge la famiglia contadina patriarcale e marginalizza il lavoro fisico maschile nei processi produttivi, i motori e le macchine consentono alle donne di poter svolgere ogni tipo di lavoro. Inizia una battaglia culturale per la parità di genere.
Con l’avvio della rivoluzione dell’intelligenza artificiale e delle biotecnologie il confronto uomo-donna avviene sul terreno delle capacità cognitive, sostanzialmente uguali nei due generi. Il ruolo centrale, nei processi produttivi e di organizzazione della vita sociale, sarà non più degli operai, impiegati e imprenditori, ma degli addetti alla ricerca scientifica. Proprio nell’ultimo ventennio del XX secolo, quando è partita la quarta grande rivoluzione, le donne hanno cominciato a occupare sempre più gli spazi del sapere.

I trends statistici attuali portano a supporre che il rapporto uomo-donna diverrà egualitario o forse si rovescerà, con la prevalenza del genere femminile nei processi economici e sociali.

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[1] Y. N. Harari, “Sapiens. Da animali a dei”, Bompiani, 2017, pp.186-87
[2] C.B. Stanford, “Scimmie cacciatrici” Longanesi & C., 2011, pp. 132-133
[3] C.B. Stanford, idem , pp. 64-65
[4] D. Morris, “Lo zoo umano”, Mondadori, 1970, pag 42
[5] J. Goodall, “Il popolo degli scimpanzé”, Rizzoli, 1a edizione 1991. I 30 anni di ricerca nella giungla di Gombe in Tanzania riassunti in questo libro ne fanno il miglior testo in circolazione per la comprensione della specie a noi più vicina.
[6] D. Morris, cit,  pag. 86
[7] J. Diamond, “L’evoluzione dell’animale umano”, Bollati Boringhieri, 2017,  pag 62
[8] P. Mathias, “Dalla ruota idraulica alla macchina a vapore”, in Storia dell’economia mondiale a cura di Valerio Castronovo, vol. 5, Laterza, 2019,  pp. 1-30
[9] Vittorio Marchis, “Homo faber. Le tecniche della produzione nel mondo antico” in Storia economica mondiale, vol. 1, , Laterza, 2019,  pp. 27-59
[10] Marcella Frangipane, “Il neolitico e la protostoria nel vicino oriente”, in La Storia, L’origine dell’umanità a cura di Alessandro Barbera, vol. 1, Salerno editrice 2016, p 241
[11] Marcella Frangipane, cit., pag. 243
[12] Y. N. Harari, cit., pag 195
[13] Antico Testamento, Deuteronomio, 22: 28-29
[14] Robert Flaceliere, "La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle", Fabbri Editore, 1998, pp. 80-112
[15] Eva Cantarella, “Famiglia, proprietà e schiavitù nel mondo antico”, in Storia dell’economia mondiale, a cura di Valerio Castronovo vol. 1, Laterza 2019, pp. 118-119
[16] Y. N. Harari, cit., pag 196
[17] Mark Overton, “Il rinnovamento dell’agricoltura”, in Storia dell’economia mondiale, vol. 5, a cura di Valerio Castronovo, Laterza, 2019, pag 88 – dello stesso autore “La meccanizzazione dell’agricoltura”, cit., vol. 7, pp. 65-82
[18] Mark Overton, cit., vol 5, pp. 87-103  e ancora Gerard Bauer, La rivoluzione agricola dell’Ottocento, in La Storia, vol. 25, a cura di Gustavo Corni, Salerno Editrice, 2017, pp. 19-58
[19] Maria Rosa Protasi, “Famiglia e società nell’evoluzione del capitalismo ottocentesco”, in La Storia, vol. 26, a cura di Alessandro Barbero, Salerno Editrice, 2017, pp311-338
[20] Pierre Guillaume Frederic Le Play, 1806-1882, ingegnere, sociologo, economista, nel 1871 pubblicò “L’organisation de la famille”, uno studio sui vari tipi di famiglia in Europa e nel quale sosteneva la validità dell’ordine patriarcale.
[21] Bruno P. F. Wanrooji, “Famiglia e genere in Europa 1900-1960, in La StoriaItalia, Europa Mediterraneo dall’antichità all’era della Globalizzazione, vol. 26,Salerno Editrice, pp 377-379 - 403
[22] Jerry Kaplan, “Intelligenza artificiale”, Luiss University Press 2017, pag 13
[23] Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli, 1996. L’autore riesaminando i pochi testi scientifici ellenisti sopravvissuti ai copisti medievali, che non comprendendoli ne raschiavano gli scritti per riutilizzare la pergamena, ne evidenzia l’ampiezza e il valore scientifico. Un solo esempio: Aristarco di Samo (310 a.C. – 230 a. C. circa) che elaborò una teoria eliocentrica e il moto di rotazione terrestre intorno ad un asse inclinato rispetto al piano dell’orbita. Inoltre, misurò con calcoli trigonometrici la distanza della luna e del sole.
[24] Luca De Biase, “Il lavoro del futuro”, Codice Edizioni, 2018, pag. 37
[25]www.Almalaurea.  Più brave a scuola e all’università, ma penalizzate sul mercato del lavoro”, Rapporto sul 2017 del 7 marzo 2018
[26] Aldo Cazzullo, "Le donne erediteranno la terra", Mondadori, 2016


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