di Ugo Di Girolamo
In un recente articolo
sul Corriere della Sera, 12 marzo 2018, Federico Fubini constata il “sorpasso a
destra nella Unione Europea”. Dopo le elezioni italiane, i partiti della destra
identitaria, sovranista, euroscettica sono diventati la seconda forza davanti
ai socialisti.
Se si votasse oggi,
invece che fra 15 mesi, la destra radicale euroscettica otterrebbe il 17% dei
voti, a fronte del 16% dei partiti socialisti. In alcuni paesi dell’Europa
Unita, i socialisti sono prossimi alla scomparsa o del tutto irrilevanti:
Polonia 8%, Irlanda 5%, Olanda 5,7%, Francia 6,4%, oppure drasticamente
ridimensionati come in Germania e Italia.
Sommando destra
radicale e destra tradizionale si arriverebbe all’84% contro il 16% della
sinistra. Ci troviamo quindi di fronte a una débâcle che va oltre il
tradizionale avvicendarsi al governo nei 27 paesi tra destra e sinistra, con
sconfitte ora dell’uno ora dell’altro. Cosa sta accadendo alla sinistra europea
che nell’ultimo decennio è passata da una sconfitta all’altra, riducendosi
all’irrilevanza?!?!
La Scomparsa Di Una Classe
Per comprendere quali
siano i processi storici alla base di questo disastro politico proviamo a fare
un esempio, per comodità solo riferito all’Italia, ma estensibile all’Europa industrializzata
e anche oltre.
Al censimento del 1951
gli addetti all’agricoltura in Italia erano il 43% degli occupati. Un partito
politico che nel dopoguerra avesse deciso di fare dei contadini il suo strato
sociale di riferimento fondamentale avrebbe avuto una platea sociale nella
quale cercare voti largamente maggioritaria sulle altre componenti lavorative.
Vent’anni dopo, 1971,
questo strato sociale era ridotto al 28%, nel 2011 al 5%. Quale pensate che
possa essere, oggi, la fortuna di un partito che in 60 anni fosse rimasto legato
alla difesa prioritaria dell’interesse degli addetti all’agricoltura? Che peso
avrebbe nel panorama politico italiano?
La risposta è evidente!
Ma si potrebbe obiettare: un tale partito non è mai esistito. Continuiamo
allora con altri dati. Nel 1971 l’Italia era un paese fortemente
industrializzato e in quel censimento si è raggiunto il massimo degli addetti
all’industria 45%.
Quarant’anni dopo,
2011, gli addetti all’industria si sono ridotti al 28% eppure l’industria
continua ad essere una componente decisiva del PIL italiano, l’Italia continua
ad essere il 5° paese manifatturiero al mondo. Due fenomeni hanno contribuito a
ridurre drasticamente gli addetti al secondo settore: le delocalizzazioni verso
paesi dai costi salariali più bassi e i robot industriali.
Si tratta di una
tendenza tutt’altro che esaurita o stabilizzatasi, al contrario la rivoluzione
elettronica ridurrà nel prossimo futuro, il settore metalmeccanico in
particolare, agli stessi livelli degli addetti del settore primario,
l’agricoltura.
Il Socialismo E La Classe Operaia
Il socialismo è nato in
Europa nella seconda metà dell’ottocento e ha sempre avuto come classe di
riferimento quella operaia, sino a costruire su essa teorie politiche che
perseguivano la fine del capitalismo e l’inizio di una nuova era di uguaglianza
sociale. Nella seconda metà del ‘900 il comunismo come ideologia politica è
fallito e i partiti socialisti si sono sganciati dalle visioni utopiche (i
primi a farlo furono i tedeschi occidentali nel 1959) per ritrovarsi a essere
partiti che per obiettivi centrali avevano la riduzione delle disuguaglianze
economiche prevalentemente mediante politiche redistributive della ricchezza
tassata.
Con l’avanzare della
rivoluzione elettronica e della cosiddetta globalizzazione, ovvero la libera
circolazione di merci e capitali, accanto al drastico ridimensionamento della
classe sociale di prioritario riferimento, è entrata in crisi la possibilità
stessa di poter continuare a praticare una politica redistributiva; il primo
motivo è che la tassazione ha raggiunto, in Europa e in Italia, livelli tali da
non poterla più sostenere. Gli Stati, per salvaguardare i rispettivi apparati
produttivi, ormai si fanno concorrenza con la detassazione, e non si tratta
più di aree marginali che con i bassi costi salariali e la bassa tassazione
degli utili tendevano e tendono ad attirare investimenti al loro interno, ma
del paese più ricco e potente al mondo: gli USA. Il secondo motivo è che i
nuovi giganti economici, legati alla rivoluzione elettronica (Amazon, Apple, Google,
Facebook, ecc…) o alla finanza (fondi comuni) sfuggono o eludono le tassazioni
nazionali.
In via di estinzione la
classe operaia e con margini ridotti per politiche redistributive la sinistra è
dunque finita?!
Sicuramente no! Destra
e sinistra sono entrati nella terminologia politica con la rivoluzione
francese, ma come fenomeno che riguarda la divisione della ricchezza prodotta
dal lavoro umano, in un arco di tempo, per un determinato popolo, è cosa che
riguarda le società umane sin da quando, passando dai cacciatori-raccoglitori
all’agricoltura, esse si sono divise in classi, e pertanto continuerà a
riguardarle per il futuro. Come la ricchezza prodotta viene divisa continuerà a
determinare posizioni di destra o di sinistra.
La Domanda Centrale
Il problema quindi è:
cosa significa essere di sinistra ai tempi della rivoluzione elettronica e
della cosiddetta globalizzazione?!?!
Pensare di alzare
barriere, rinchiudendosi in se stessi, come va dicendo la destra sovranista in
Europa, o anche alcune frange della sinistra che spingono per un “ritorno alle
origini” non porta da nessuna parte, soprattutto perché ciò non potrà garantire
nessun paese dalla feroce competizione economica internazionale.
È un po’ come quei
paesi europei le cui classi dominanti, di fronte alla rivoluzione industriale
cercarono di restare abbarbicate alla rendita agraria; l’unico risultato che
ottennero fu il declino o il grave ritardo nell’industrializzazione dei loro
paesi.
Personalmente ritengo
che nella riflessione sull’interrogativo centrale per le sinistre, su esposto,
non sarebbe male andarsi a riguardare un po’ la storia economica relativa al
passaggio dalle società contadine del ‘700 alla rivoluzione industriale e agli
immensi stravolgimenti, sociali oltre che economici, che essa ha operato
nell’Europa occidentale.
Il Dibattito Politico Nella Sinistra
Tuttavia, per una
economia di discorso, vengo al dibattito politico oggi esistente nella sinistra
europea, dibattito tutt’altro che soddisfacente. Anzi l’impressione che ho è
che si è in piena confusione mentale.
L’unico esempio dal
quale penso si possa partire per avviare un dibattito sono le elezioni
presidenziali francesi, vinte contro il sovranismo lepenista sulla base di
alcuni punti fondamentali per il futuro della Francia, ma anche – credo - per
elaborare un nuovo modo di essere della sinistra.
·
Europa,
nessuno Stato europeo, anche di 60-70-80 milioni di abitanti è in grado di
fronteggiare i rischi economici, in primo luogo, ma non solo, che possono
venire dai giganti asiatici o da paesi amici come gli USA o dai pericolosi
russi. La dimensione europea è una scelta non negoziabile, l’avanzamento del
processo di unificazione europea una necessità assoluta.
·
Modernizzazione
dell’apparato statale e del Welfare, che pure sono tra i migliori del mondo, ma
che hanno bisogno di adeguarsi alle nuove condizioni.
·
Investimenti
in istruzione e ricerca che consentono ai francesi di essere in
quell’avanguardia che guida la rivoluzione elettronica.
Accanto a questi punti
suggeriti dal caso francese non è di poco conto un altro pilastro: la
democrazia.
In un mondo dove
nell’ultimo ventennio sono andati crescendo gli Stati autoritari e la stessa
rivoluzione elettronica presenta pericolose insidie, la difesa dell’ordine
democratico non è un aspetto propagandistico, ma un inderogabile obiettivo
politico.
Solo in questa cornice
è possibile riproporre politiche redistributive che contrastino l’attuale
pericolosa concentrazione di ricchezza e potere politico e l’impoverimento
relativo di larghi strati sociali.
La Crisi Italiana
In questo quadro
sintetico generale va collocata, a mio avviso, la batosta elettorale della
sinistra italiana (PD e LEU), con la vittoria delle forze ostili all’euro, e
pericolose per la democrazia, che sono ormai la maggioranza assoluta nel
panorama politico italiano.
In realtà la crisi
della sinistra italiana è scoppiata già nel 2013, quando di fronte al crollo
della destra berlusconiana, il principale partito di opposizione, il PD, perde
il 7% dei voti e il movimento 5 stelle, presentatosi per la prima volta alle politiche,
passa da zero a 25%. Fu solo grazie ad un perverso meccanismo elettorale (porcellum)
che il PD ottenne la maggioranza alla camera, ma non al senato, e insieme a
parte della destra (FI) riuscì a mettere su una maggioranza di governo (Letta),
che nel suo unico anno di vita si contraddistinse per un preoccupante
immobilismo.
Il Renzismo
Approfittando della
debolezza del governo Letta, il nuovo segretario del PD, neanche eletto in
parlamento, cambia il governo e si insedia alla presidenza del Consiglio.
Renzi si presenta come
un politico fortemente innovativo che vuole cambiare l’Italia con un insieme di
riforme.
·
Comincia con
la riforma del mercato del lavoro, da tempo precipitato in un’autentica schizofrenia,
con il 40% dei lavoratori iperprotetti e un 60% privi di ogni tutela;
·
Opera una
riduzione delle tasse con il bonus di 80 euro;
·
Avvia, per
la prima volta nella storia della repubblica italiana, una lotta alla
corruzione, istituendo un alto commissariato dotato di effettivi poteri di
controllo preventivo e riformando il codice degli appalti;
·
Affronta in
prima persona – e anche qui è la prima volta nella storia repubblicana per un
presidente del Consiglio – la riforma della scuola, introducendo elementi di
meritocrazia e di controllo qualitativo del lavoro degli insegnanti;
·
Il suo
governo supera con poca spesa – se raffrontata a quella imponente della
Germania o stratosferica degli USA – la crisi delle banche;
·
Fa approvare
una nuova legge elettorale maggioritaria (italicum);
·
Fa passare
in parlamento l’abolizione del Senato e l’eliminazione del titolo V della
Costituzione, la cui approvazione nel 2001 fu forse il peggior errore della
sinistra nella storia della repubblica;
·
Ma al
referendum del 4 dicembre 2016 le riforme costituzionali vengono nettamente
respinte dal popolo italiano. Renzi si dimette da presidente del consiglio, il
governo PD continua ancora per un anno, rimangiandosi gli aspetti qualificanti
della riforma della scuola, fino alla batosta del 2018.
Le Cause Della Sconfitta
Quali gli errori commessi da Renzi che hanno
portato alla sconfitta della politica delle riforme?
·
Alcuni
errori tattici, quali la rottura del patto del Nazareno che lo hanno portato al
completo isolamento nell’affrontare lo scontro referendario o anche nel
rifiutare a D’Alema la carica “decorativa” di rappresentante degli affari
esteri dell’Unione Europea, affidata ad una illustre sconosciuta.
·
Alcuni
errori strategici, quale quello di affidare la gestione della riforma della
scuola ad una ministra chiaramente non all’altezza del gravoso compito
politico; rinunciando a spiegare agli italiani e agli stessi insegnanti che non
possiamo più permetterci un sistema scolastico privo di strumenti di controllo
della qualità del lavoro degli insegnanti. In Europa siamo rimasti solo noi e i
Greci a non averlo, con serie conseguenze sulla qualità dell’insegnamento.
Ma l’errore più grave
commesso da Renzi è stato quello di rifiutarsi di spiegare agli italiani
l’obiettivo vero dell’eliminazione del titolo quinto e del senato che
unitamente alla nuova legge elettorale avrebbero dovuto portare ad un profondo
cambiamento della vita politica italiana.
Attraverso un
rafforzamento del potere centrale dello Stato, un rafforzamento del Presidente del
Consiglio e la fine di quello che il compianto Sartori definiva “l’eccesso di
parlamentarismo”, si sarebbe arrivati a governi stabili e autorevoli in grado
di gestire i tempi lunghi delle riforme.
Quando gli avversari lo
accusavano che attraverso il “combinato disposto” (vale a dire riforma
costituzionale + legge elettorale) mirava a posizioni personali autoritarie,
lui reagiva non dicendo voglio riformare il sistema politico italiano, ma che
il tutto si riduceva a risparmiare soldi e a velocizzare i processi decisionali
della politica. Insomma mirava a un obiettivo alto ma non lo diceva
dichiarandone uno di basso profilo; una furbizia che è stata la sua fine, ma
anche di una politica riformista.
In
definitiva, l’insieme legge elettorale porcellum e renzismo hanno solo posposto
la certificazione della crisi della sinistra italiana, esplosa nel 2013.
Quali Conclusioni Trarre
La situazione nella
quale si trova il PD è molto seria, dopo il fallimento dell’esperienza
renzista, sembra improbabile che l’attuale gruppo dirigente possa produrre un
“Macron italiano”, un “nuovo Renzi”, che rilanci con autorevolezza il
“riformismo europeista” anche perché lo stesso Matteo Renzi non sembra rendersi
conto del disastro che ha combinato e non ha alcuna intenzione di farsi da
parte, sognando improbabili rivincite.
Per l’Europa c’è solo
da augurarsi che la politica riformista e europeista di Macron alla lunga
risulti vincente in Francia e che i socialisti europei la facciano propria
rilanciando il ruolo della sinistra ai tempi della globalizzazione e della
rivoluzione elettronica.
tra gli errori commessi da Renzi va aggiunta la cattiva comunicazione politica. Stare continuamente a dire che tutto andava per il meglio ha finito per istigare quanti invece vivono in condizioni precarie.
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