Lettera di Ugo di Girolamo
e risposta del Dott. Raffaele Cantone
Gentile dottor
Cantone, le scrivo per riannodare le fila di un discorso che, seppur non con
continuità, provo a fare con lei dal 2009, anno di pubblicazione del mio saggio
“Mafie, politica, pubblica amministrazione”. In esso, come lei sa, ho sostenuto la tesi che per risolvere definitivamente il problema mafioso, accanto a una serrata lotta “militare” verso i clan, occorreva portare il contrasto sul fronte della lotta alla corruzione e al clientelismo, per spezzare il legame tra mafie, politica e pubblica amministrazione.
Partendo dalla
consapevolezza che la mafia, in tutte le sue versioni, è una specifica forma di
criminalità organizzata, caratterizzata dalla capacità di penetrare negli enti
dello Stato per piegarli ai propri interessi e – per questa via – invadere
l’economia legale, la lotta per distruggerla non può che passare dalla
distruzione dell’antico legame mafie-politica. Questa consapevolezza, che si è
fatta strada nel dibattito politico nazionale, ha prodotto alcune norme quali
la legge 221/91, il voto di scambio e il concorso esterno. Queste norme, in
sé utili al contrasto antimafia, alla
prova dei fatti si sono dimostrate del tutto insufficienti a realizzare lo
scopo. Il loro fallimento è dovuto al fatto che esse non aggrediscono il vero
nodo della questione: la corruzione e il clientelismo.
Ciò che è accaduto
a Roma è la prova, se mai ce ne fosse ancora bisogno, del fatto che la porta di
ingresso dei clan nelle istituzioni è rappresentata dalla corruzione e dal
clientelismo.
Tutto quanto avviene nella fase elettorale,
dalle primarie alle preferenze, e l’assoluta insufficienza della strumentazione
anticorruzione, da una normativa “colabrodo” alle partecipate, consente livelli
tali di corruzione che fanno dell’Italia il Paese leader dell’Europa
comunitaria nella triste classifica.
La responsabilità
di queste “ porte aperte” per le mafie è del ceto politico italiano, di destra
ma anche di sinistra. Ceto politico che per 150 anni si è rifiutato di
sottostare ai controlli di legalità.
Tutto questo io
sostenevo nel mio libro nel 2009 e AVEVO RAGIONE. La lotta alle mafie
passa obbligatoriamente per una lotta alla corruzione e al clientelismo.
Ma su una cosa mi
sbagliavo e oggi ho parzialmente corretto la mia convinzione: la Stazione Unica
Appaltante. Lei è stato sempre un sostenitore di questo strumento, io al
contrario non vi ho mai attribuito un grande valore. Anzi vi intravedevo il pericolo che essa
paradossalmente potesse spingere clan non unificati, come la camorra casertana,
a federarsi per potersi rapportare alla S.U.A.
Tuttavia, anche se
con qualche perplessità, mi rendo conto che se la sua proposta, per ipotesi,
due anni fa fosse stata accettata e generalizzata oggi non ci saremmo trovati
di fronte al caso Roma.
AVEVA RAGIONE LEI bisogna togliere dalle mani dei
comuni (e delle Regioni) il potere di gestire appalti.
Colgo l’occasione per farle i miei più fervidi
auguri per le prossime feste natalizie e per il suo lavoro all’ANAC.
lunedì 08/12/2014 08:53
La risposta del Presidente
Caro dott.
Effettivamente il nodo del rapporto
corruzione/mafie si sta rivelando il più difficile da sciogliere. Anche io ho
pensato spesso alla sua idea e come essa fosse oggettivamente premonitrice.
Oggi si tratta di una questione ormai
ineludibile perché ad essa è legata la possibilità di uscire dal tunnel.
Il tema della S U A è invece persino diventato minore rispetto
agli enormi problemi che si pongono per gli appalti. Bisogna avere il coraggio
di fare scelte normative nettissime sul punto e spero davvero lo si faccia.
Un cordialissimo saluto
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