di Ugo Di Girolamo
Vi è una antipolitica classica, che risale ai tempi di
Aristotele e attraversa tutta la storia europea, che esprime il rifiuto totale
della politica, vista come pura lotta di potere.
Connessa ad essa è la posizione di quote più o meno rilevanti delle società umane che della politica si disinteressano completamente, ritenendo più utile occuparsi della quotidiana lotta per la sopravvivenza, lasciando ad altri le incombenze della politica.
Connessa ad essa è la posizione di quote più o meno rilevanti delle società umane che della politica si disinteressano completamente, ritenendo più utile occuparsi della quotidiana lotta per la sopravvivenza, lasciando ad altri le incombenze della politica.
Ma l’antipolitica cui facciamo riferimento, oggi, in Italia, è quel sentimento di astio verso l’intero ceto politico che esplode ciclicamente nella storia d’Italia al manifestarsi di crisi profonde del sistema politico-istituzionale. Un sentimento generalizzato di disprezzo che accomuna i gestori politici del governo e quelli all’opposizione, identificati questi ultimi uguali e con gli stessi vizi di quelli della maggioranza.
Una antipolitica assoluta che porta al
rifiuto dell’intero ceto politico, del quale si ritiene di poter fare a meno, è
quella di Guglielmo Giannini e del suo Movimento dell’Uomo Qualunque. Per
Giannini dei politici – gente che rompeva solo le scatole – si poteva fare a
meno, bastavano dei semplici ragionieri che tenessero i conti dello Stato e che
a fine anno dovevano definitivamente lasciare l’incarico per evitare che
sviluppassero tendenze politiche. Il Movimento dell’uomo qualunque svolse un
certo ruolo nel travagliato periodo postbellico per esaurirsi rapidamente dopo
le elezioni del ’48, anno nel quale prese forma definitiva la prima repubblica.
Accanto al sentimento di ripulsa che investe l’insieme del ceto politico vi
è una componente dell’antipolitica che è propositiva, che tende ad
affermare nuovi metodi del fare politica radicalmente antitetici, quantomeno
nella fase iniziale, a quelli del precedente regime.
Qual è l’origine dell’antipolitica?
“Se provate a chiedere in giro [in Francia] cosa sia l’antipolitica vi
guarderanno stupefatti”, afferma Paolo Franchi, sul Corriere della Sera.
Opinioni del 12 maggio, come a dire non capiscono di cosa state parlando.
Benché una quota di antipolitica sia presente in tutte le democrazie
occidentali, espressione di quelle frange di popolazioni che si
disinteressano di tutto, occupate solo dai loro casi personali, il
fenomeno dell’antipolitica così come si è manifestato ripetutamente nella
storia italiana resta unico e peculiare del nostro Paese. La profonda
differenza tra noi e i francesi in relazione a ciò è dovuta al modo nel quale
si è affermata la borghesia come classe dirigente nei due Stati.
Nel 1789 la
borghesia francese guida il processo rivoluzionario di liquidazione dell’ancien
regime, ma ad esso non sono estranei il proletariato parigino, che il 14 luglio
dà l’assalto alla Bastiglia, né i contadini che nel mese e mezzo successivo
assaltano i castelli della campagna francese cacciando via i nobili,
proprietari terrieri. La borghesia dovrà tener conto di questo dato che segnerà
indelebilmente la storia della Francia contemporanea. In Italia, la debole
borghesia diverrà classe dirigente, politicamente egemone, nel compimento del
processo di unità nazionale. Nel 1859 la penisola, fatta eccezione per il
Piemonte, presentava una miriade di Stati assoluti, dove il ruolo delle classi
nobiliari era centrale e decisivo.
Fatta eccezione per i contadini siciliani, accorsi in massa con Garibaldi
con la speranza di ottenere la terra dei latifondi, ma che invece ricevettero
solo fucilate la dove si spinsero un po’ oltre nella rivendicazione (come nel
catanese), la gran massa dei contadini italiani, che rappresentavano l’80%
della popolazione, dalla Calabria al Veneto restò sostanzialmente estranea alla
costituzione di un regno unitario a regime liberale.
Nel 1849, dopo la
proclamazione della Repubblica Romana, nessun contadino diede l’assalto alle
terre della chiesa e dei nobili. Nessuna battaglia di Valmy c’è nella nostra
storia risorgimentale, ma solo lazzari, sanfedismo e brigantaggio. Il primo
parlamento italiano fu eletto da 419.000 borghesi aventi diritto per censo, su
una popolazione di 22 milioni di abitanti. Bisognerà aspettare 51 anni per
avere il quasi suffragio universale maschile. Per la fine del latifondo molto
di più. Il rifiuto di una riforma agraria, la debolezza del proletariato di
fabbrica e il lungo monopolio politico borghese, unitamente ad un clientelismo
sfrenato da nord a sud e alla corruzione, alimentarono la profonda estraneità dei
ceti popolari italiani al proprio Stato, alle proprie istituzioni. Giolitti
pensava di superare questa estraneità verso le istituzioni con la concessione
del suffragio universale, ma senza modificare i rapporti tra ceti sociali
ricchi e quelli poveri, senza incidere sul tessuto economico.
Analogamente, il
fascismo pensò di risolvere il problema con una politica di intromissione nel
sociale, con la retorica nazionalistica e l’aggressività sul piano
internazionale. Con la Costituzione del ’48 si sarebbe potuto finalmente porre
fine a questa permanente estraneità di larghe fasce di popolazione, ma tutto fu
sacrificato sull’altare della dura contrapposizione tra comunismo e
anticomunismo. Un clientelismo sfrenato, dall’una e dall’altra parte,
unitamente alla onnipresente corruzione, non aiutò certo la formazione del
cittadino democratico: titolare dei diritti a lui riconosciuti dalla
Costituzione, ne è di fatto largamente deprivato dalla politica. Il rapporto
politico / cittadino fondato sul modello dell’appartenenza e dello scambio voto
contro favore non poteva non perpetuare il sentimento di estraneità e di
ostilità. Nemmeno il crollo del comunismo e lo scoppio di “mani pulite” servì a
modificare questo dato, al contrario si esasperò ancora di più.
Corruzione, clientelismo, rapporti con le mafie e le massonerie, rifiuto di
sottostare ai controlli di legalità, rappresentano i caratteri distintivi del
ceto politico italiano sin dalle origini e fino ai giorni nostri.
Certo non si vuole ridurre la storia d’Italia solo a questo, il popolo
italiano nei 150 anni di unità ha conosciuto crescita economica e culturale.
Tuttavia questo filo di estraneità e di ostilità tra cittadino, politico e
istituzioni è un dato permanente che attraversa i 4 regimi che hanno sinora
caratterizzato la nostra storia politico-istituzionale. Questo “substrato”
costituisce il lievito su cui ha prosperato sia l’antipolitica assoluta che
quella propositiva, che esplode puntualmente ad ogni crisi di regime.
Il ruolo dell’antipolitica
Per Sergio Romano e Massimo Salvadori la storia politica italiana procede
per regimi, al primo monarchico-liberale è seguito il fascismo, poi la
repubblica e dopo la crisi del 92/94 la 2° repubblica. Si può parlare di
seconda repubblica benché la Costituzione sia rimasta sostanzialmente quella
del ’48 in quanto una serie di leggi ordinarie hanno introdotto modifiche
rilevanti alla costituzione materiale, in primis le leggi elettorali.
Oggi, con il governo tecnico, sembra iniziata una fase che ci porterà alla
terza repubblica.
Caratteristica costante dei quattro regimi è la delegittimazione a
governare delle forze politiche che di volta in volta hanno rappresentato i
ceti popolari. Nel primo a repubblicani e socialisti era vietato di fatto il
governo del paese. Durante il fascismo nessuna forza politica di opposizione
aveva diritto di esistere. Con la prima repubblica erano i comunisti gli
esclusi per principio. Nella seconda, per Berlusconi chiunque si opponeva a lui
era comunista e come tale delegittimato.
E’ nelle fasi acute di crisi, che hanno segnato il passaggio da un regime
all’altro, che l’antipolitica, sia assoluta che propositiva, è emersa con vigore
svolgendo un ruolo nei processi di trasformazione. La critica radicale e
generalizzata al vecchio sistema politico, alle sue corruttele, alle sue
incapacità di dare le risposte che la crisi in corso avrebbe richiesto e nel
contempo la proposizione di nuovi modelli, almeno nei casi del ‘24 e del ‘94, è
funzionale al passaggio ad un nuovo ordine politico-istituzionale.
Nel 22/24 l’antipolitica propositiva assunse la forma di una radicale
critica alle istituzioni parlamentari (il fascismo era nemico della corruzione
parlamentaristica, diceva Gentile). Per la verità la critica violenta al
parlamentarismo non era appannaggio del solo fascismo, anche socialisti
massimalisti e comunisti vi si applicavano e anche per loro la denigrazione
delle istituzioni parlamentari e dei comportamenti dei politici era il prodromo
per un nuovo regime: quello socialista.
Nel 46/48 l’antipolitica del Movimento dell’uomo qualunque assunse la forma
della ripulsa integrale della politica. Questo carattere radicale le impedì di
svolgere un ruolo incisivo e dopo il ’48 il movimento si andò rapidamente
esaurendo.
Al contrario, nel ‘94 l’antipolitica propositiva di Berlusconi, il non
politico, l’imprenditore di successo prestato alla politica, giunto
all’improvviso sulla scena per far piazza pulita del “regime partitocratico”,
giocò un ruolo assolutamente decisivo nella sconfitta della sinistra,
individuata come parte del vecchio sistema partitico.
La collocazione dell’antipolitica.
Mussolini, Giannini, Berlusconi erano uomini di destra, oggi Grillo si
presenta con la sua antipolitica propositiva con una collocazione – a suo dire
– né di destra né di sinistra. I flussi di militanti e voti verso il suo “Non-partito”
provengono prevalentemente da sinistra, come pure le forme di democrazia
diretta che adottano i gruppi operanti nel concreto delle singole realtà
amministrative farebbero pensare ad una collocazione a sinistra, seppur
antitetica a quella già esistente. Altre caratteristiche, al contrario,
inducono a ritenere Grillo uomo di destra.
E’ Grillo che ha elaborato e gestisce inappellabilmente, con il suo
personale staff di collaboratori, le regole di vita (il Non-Statuto) di M5s. Allo
stesso modo elabora proposte, strategie e tattiche del suo Non-partito.
Inoltre, il rapporto diretto con i cittadini, mediante la rete e i
comizi-spettacolo, saltando ogni mediazione del suo stesso Non-partito,
colorano questo politico di populismo.
Per questi aspetti – struttura politica autoritaria e esclusiva ricerca di
contatto diretto con il cittadino – sembra di trovarsi di fronte al primo
Berlusconi di Forza Italia.
Alcune recenti prese di posizione di Grillo durante la campagna elettorale
amministrativa preoccupano ancora di più.
- Andare
a Palermo a sostenere che partiti e Stato sono peggio della mafia equivale
a mettersi in sintonia e avallare il mantra secolare della subcultura
collaterale mafiosa: “ la mafia sta a Roma”. L’affermazione di Grillo, di
per sé già grave se pronunciata al Nord, lo diventa ancora di più a
Palermo, perché dai clan può essere interpretata come un segnale di
disponibilità. Serve a poco dire che in altre occasioni si è pronunciato contro
la mafia, in Sicilia diversi politici attivi nell’antimafia si sono poi
rivelati dei collusi. Chi è sospettoso ha quindi argomenti per sospettare.
- Altrettanto
sconcertante è la difesa di Bossi che a suo dire sarebbe vittima di un
complotto.
- Infine,
l’affermazione di essere favorevole all’uscita dell’Italia dall’euro con
una svalutazione della lira al 60% lascia basiti. Qui i casi sono due: o
ci troviamo di fronte a un “dilettante allo sbaraglio” che in quanto tale
può risultare tossico per l’Italia, oppure siamo di fronte a un disegno
luciferino che, massacrando una buona metà della popolazione (salariati e
pensionati), punta a far galleggiare quel che resterà dell’imprenditoria
italiana.
E’ fuor di dubbio che i gruppi di M5s, operativi nelle singole realtà
amministrative, spingano per un radicale rinnovamento del fare politica, ma è
altrettanto chiaro che Grillo, con il suo autoritarismo condito da un
linguaggio politico violento e volgare, rappresenta un pericolo politico e alla
fin fine un ostacolo a che le modalità nuove del far politica dei gruppi di M5s
possano affermarsi e sostituire le insopportabili pratiche dei partiti della 2°
repubblica.
Le trappole della sinistra
A parte i sei anni e mezzo del 1° e 2° governo Prodi, l’Italia nei suoi 150
anni di unità è stata sempre governata dalla destra, a volte quella autoritaria
e più spesso quella moderata, quest’ultima per alcuni periodi si è avvalsa
della collaborazione minoritaria di parte della sinistra.
Ad ogni crisi di regime la sinistra è stata sistematicamente sconfitta.
Questo problema sollevato da Massimo Salvadori nel 2005, non ha ricevuto
sinora risposta. Di certo però un ruolo notevole per queste ricorrenti
sconfitte lo ha giocato proprio l’incapacità della sinistra a costruire un
corretto rapporto tra cittadini e politica, tra cittadini e istituzioni. In
altri termini, l’incapacità a proporre e praticare: la fine della dilagante
corruzione, dell’onnipresente clientelismo (con correlata negazione della
meritocrazia), la fine dei rapporti tra politica, mafie e massonerie,
l’accettazione dei controlli di legalità sull’operato della politica. Tutto questo avrebbe portato al superamento di quella separazione tra
istituzioni e cittadini che percorre l’intera storia italiana.
Vi sono sicuramente
altre cause e contingenze storiche che concorrono a spiegare le ricorrenti
sconfitte della sinistra nelle varie crisi di regime, ma di sicuro il lasciarsi
individuare – come nel ‘94 – parte del vecchio regime da spazzar via è una
grave responsabilità dei gruppi dirigenti della sinistra, è il segno della loro
incapacità a comprendere i pericoli dell’antipolitica e del malessere profondo
che la esprime.
Mi stupisce che in questo articolo si parli di mafie e massonerie e ciononostante si insista sul concetto di destra e sinistra. La cupola del potere non ha bandiera, comanda attraverso infiltrazioni trasversali la cui esistenza solo adesso grazie alla rete sta diventando piano piano di pubblica diffusione, e Grillo certe cose le dice da 20 anni...
RispondiEliminaDestra e sinistra sono concetti legati all'essenza stessa delle democrazie rappresentative, nelle quali le varie forze politiche si assumono la rappresentanza dei diversi strati sociali o classi che dir si voglia. Quanto poi queste forze riescano effettivamente a rappresentare gli interessi di determinati strati sociali è altra cosa, oggetto di valutazione elettorale. Ma il breve commento da lei lasciato suscita delle preoccupazioni molto serie. Secondo il suo schema vi sarebbero in Italia due sole forze contrapposte: da una parte la cupola del potere trasversale che include destra e sinistra, dall'altra vi è il movimento 5 stelle con a capo Grillo in lotta da 20 manni contro di essa. Ne consegue che il vostro obiettivo è sostituire per intero questa "cupola trasversale", ma cosa avete in testa una nuova dittatura??
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