25 mar 2018

Il Dramma Della Sinistra

di Ugo Di Girolamo

In un recente articolo sul Corriere della Sera, 12 marzo 2018, Federico Fubini constata il “sorpasso a destra nella Unione Europea”. Dopo le elezioni italiane, i partiti della destra identitaria, sovranista, euroscettica sono diventati la seconda forza davanti ai socialisti.
Se si votasse oggi, invece che fra 15 mesi, la destra radicale euroscettica otterrebbe il 17% dei voti, a fronte del 16% dei partiti socialisti. In alcuni paesi dell’Europa Unita, i socialisti sono prossimi alla scomparsa o del tutto irrilevanti: Polonia 8%, Irlanda 5%, Olanda 5,7%, Francia 6,4%, oppure drasticamente ridimensionati come in Germania e Italia.
Sommando destra radicale e destra tradizionale si arriverebbe all’84% contro il 16% della sinistra. Ci troviamo quindi di fronte a una débâcle che va oltre il tradizionale avvicendarsi al governo nei 27 paesi tra destra e sinistra, con sconfitte ora dell’uno ora dell’altro. Cosa sta accadendo alla sinistra europea che nell’ultimo decennio è passata da una sconfitta all’altra, riducendosi all’irrilevanza?!?!

La Scomparsa Di Una Classe
Per comprendere quali siano i processi storici alla base di questo disastro politico proviamo a fare un esempio, per comodità solo riferito all’Italia, ma estensibile all’Europa industrializzata e anche oltre.
Al censimento del 1951 gli addetti all’agricoltura in Italia erano il 43% degli occupati. Un partito politico che nel dopoguerra avesse deciso di fare dei contadini il suo strato sociale di riferimento fondamentale avrebbe avuto una platea sociale nella quale cercare voti largamente maggioritaria sulle altre componenti lavorative.
Vent’anni dopo, 1971, questo strato sociale era ridotto al 28%, nel 2011 al 5%. Quale pensate che possa essere, oggi, la fortuna di un partito che in 60 anni fosse rimasto legato alla difesa prioritaria dell’interesse degli addetti all’agricoltura? Che peso avrebbe nel panorama politico italiano?
La risposta è evidente! Ma si potrebbe obiettare: un tale partito non è mai esistito. Continuiamo allora con altri dati. Nel 1971 l’Italia era un paese fortemente industrializzato e in quel censimento si è raggiunto il massimo degli addetti all’industria 45%.
Quarant’anni dopo, 2011, gli addetti all’industria si sono ridotti al 28% eppure l’industria continua ad essere una componente decisiva del PIL italiano, l’Italia continua ad essere il 5° paese manifatturiero al mondo. Due fenomeni hanno contribuito a ridurre drasticamente gli addetti al secondo settore: le delocalizzazioni verso paesi dai costi salariali più bassi e i robot industriali.
Si tratta di una tendenza tutt’altro che esaurita o stabilizzatasi, al contrario la rivoluzione elettronica ridurrà nel prossimo futuro, il settore metalmeccanico in particolare, agli stessi livelli degli addetti del settore primario, l’agricoltura.

Il Socialismo E La Classe Operaia
Il socialismo è nato in Europa nella seconda metà dell’ottocento e ha sempre avuto come classe di riferimento quella operaia, sino a costruire su essa teorie politiche che perseguivano la fine del capitalismo e l’inizio di una nuova era di uguaglianza sociale. Nella seconda metà del ‘900 il comunismo come ideologia politica è fallito e i partiti socialisti si sono sganciati dalle visioni utopiche (i primi a farlo furono i tedeschi occidentali nel 1959) per ritrovarsi a essere partiti che per obiettivi centrali avevano la riduzione delle disuguaglianze economiche prevalentemente mediante politiche redistributive della ricchezza tassata.
Con l’avanzare della rivoluzione elettronica e della cosiddetta globalizzazione, ovvero la libera circolazione di merci e capitali, accanto al drastico ridimensionamento della classe sociale di prioritario riferimento, è entrata in crisi la possibilità stessa di poter continuare a praticare una politica redistributiva; il primo motivo è che la tassazione ha raggiunto, in Europa e in Italia, livelli tali da non poterla più sostenere. Gli Stati, per salvaguardare i rispettivi apparati produttivi, ormai si fanno concorrenza con la detassazione, e non si tratta più di aree marginali che con i bassi costi salariali e la bassa tassazione degli utili tendevano e tendono ad attirare investimenti al loro interno, ma del paese più ricco e potente al mondo: gli USA. Il secondo motivo è che i nuovi giganti economici, legati alla rivoluzione elettronica (Amazon, Apple, Google, Facebook, ecc…) o alla finanza (fondi comuni) sfuggono o eludono le tassazioni nazionali.
In via di estinzione la classe operaia e con margini ridotti per politiche redistributive la sinistra è dunque finita?!
Sicuramente no! Destra e sinistra sono entrati nella terminologia politica con la rivoluzione francese, ma come fenomeno che riguarda la divisione della ricchezza prodotta dal lavoro umano, in un arco di tempo, per un determinato popolo, è cosa che riguarda le società umane sin da quando, passando dai cacciatori-raccoglitori all’agricoltura, esse si sono divise in classi, e pertanto continuerà a riguardarle per il futuro. Come la ricchezza prodotta viene divisa continuerà a determinare posizioni di destra o di sinistra.

La Domanda Centrale
Il problema quindi è: cosa significa essere di sinistra ai tempi della rivoluzione elettronica e della cosiddetta globalizzazione?!?!
Pensare di alzare barriere, rinchiudendosi in se stessi, come va dicendo la destra sovranista in Europa, o anche alcune frange della sinistra che spingono per un “ritorno alle origini” non porta da nessuna parte, soprattutto perché ciò non potrà garantire nessun paese dalla feroce competizione economica internazionale.
È un po’ come quei paesi europei le cui classi dominanti, di fronte alla rivoluzione industriale cercarono di restare abbarbicate alla rendita agraria; l’unico risultato che ottennero fu il declino o il grave ritardo nell’industrializzazione dei loro paesi.
Personalmente ritengo che nella riflessione sull’interrogativo centrale per le sinistre, su esposto, non sarebbe male andarsi a riguardare un po’ la storia economica relativa al passaggio dalle società contadine del ‘700 alla rivoluzione industriale e agli immensi stravolgimenti, sociali oltre che economici, che essa ha operato nell’Europa occidentale.

Il Dibattito Politico Nella Sinistra
Tuttavia, per una economia di discorso, vengo al dibattito politico oggi esistente nella sinistra europea, dibattito tutt’altro che soddisfacente. Anzi l’impressione che ho è che si è in piena confusione mentale.
L’unico esempio dal quale penso si possa partire per avviare un dibattito sono le elezioni presidenziali francesi, vinte contro il sovranismo lepenista sulla base di alcuni punti fondamentali per il futuro della Francia, ma anche – credo - per elaborare un nuovo modo di essere della sinistra.
·      Europa, nessuno Stato europeo, anche di 60-70-80 milioni di abitanti è in grado di fronteggiare i rischi economici, in primo luogo, ma non solo, che possono venire dai giganti asiatici o da paesi amici come gli USA o dai pericolosi russi. La dimensione europea è una scelta non negoziabile, l’avanzamento del processo di unificazione europea una necessità assoluta.
·      Modernizzazione dell’apparato statale e del Welfare, che pure sono tra i migliori del mondo, ma che hanno bisogno di adeguarsi alle nuove condizioni.
·      Investimenti in istruzione e ricerca che consentono ai francesi di essere in quell’avanguardia che guida la rivoluzione elettronica.

Accanto a questi punti suggeriti dal caso francese non è di poco conto un altro pilastro: la democrazia.
In un mondo dove nell’ultimo ventennio sono andati crescendo gli Stati autoritari e la stessa rivoluzione elettronica presenta pericolose insidie, la difesa dell’ordine democratico non è un aspetto propagandistico, ma un inderogabile obiettivo politico.
Solo in questa cornice è possibile riproporre politiche redistributive che contrastino l’attuale pericolosa concentrazione di ricchezza e potere politico e l’impoverimento relativo di larghi strati sociali.

La Crisi Italiana
In questo quadro sintetico generale va collocata, a mio avviso, la batosta elettorale della sinistra italiana (PD e LEU), con la vittoria delle forze ostili all’euro, e pericolose per la democrazia, che sono ormai la maggioranza assoluta nel panorama politico italiano.
In realtà la crisi della sinistra italiana è scoppiata già nel 2013, quando di fronte al crollo della destra berlusconiana, il principale partito di opposizione, il PD, perde il 7% dei voti e il movimento 5 stelle, presentatosi per la prima volta alle politiche, passa da zero a 25%. Fu solo grazie ad un perverso meccanismo elettorale (porcellum) che il PD ottenne la maggioranza alla camera, ma non al senato, e insieme a parte della destra (FI) riuscì a mettere su una maggioranza di governo (Letta), che nel suo unico anno di vita si contraddistinse per un preoccupante immobilismo.

Il Renzismo
Approfittando della debolezza del governo Letta, il nuovo segretario del PD, neanche eletto in parlamento, cambia il governo e si insedia alla presidenza del Consiglio.
Renzi si presenta come un politico fortemente innovativo che vuole cambiare l’Italia con un insieme di riforme.
·      Comincia con la riforma del mercato del lavoro, da tempo precipitato in un’autentica schizofrenia, con il 40% dei lavoratori iperprotetti e un 60% privi di ogni tutela;
·      Opera una riduzione delle tasse con il bonus di 80 euro;
·      Avvia, per la prima volta nella storia della repubblica italiana, una lotta alla corruzione, istituendo un alto commissariato dotato di effettivi poteri di controllo preventivo e riformando il codice degli appalti;
·      Affronta in prima persona – e anche qui è la prima volta nella storia repubblicana per un presidente del Consiglio – la riforma della scuola, introducendo elementi di meritocrazia e di controllo qualitativo del lavoro degli insegnanti;
·      Il suo governo supera con poca spesa – se raffrontata a quella imponente della Germania o stratosferica degli USA – la crisi delle banche;
·      Fa approvare una nuova legge elettorale maggioritaria (italicum);
·      Fa passare in parlamento l’abolizione del Senato e l’eliminazione del titolo V della Costituzione, la cui approvazione nel 2001 fu forse il peggior errore della sinistra nella storia della repubblica;
·      Ma al referendum del 4 dicembre 2016 le riforme costituzionali vengono nettamente respinte dal popolo italiano. Renzi si dimette da presidente del consiglio, il governo PD continua ancora per un anno, rimangiandosi gli aspetti qualificanti della riforma della scuola, fino alla batosta del 2018.

Le Cause Della Sconfitta
Quali gli errori commessi da Renzi che hanno portato alla sconfitta della politica delle riforme?
·      Alcuni errori tattici, quali la rottura del patto del Nazareno che lo hanno portato al completo isolamento nell’affrontare lo scontro referendario o anche nel rifiutare a D’Alema la carica “decorativa” di rappresentante degli affari esteri dell’Unione Europea, affidata ad una illustre sconosciuta.
·      Alcuni errori strategici, quale quello di affidare la gestione della riforma della scuola ad una ministra chiaramente non all’altezza del gravoso compito politico; rinunciando a spiegare agli italiani e agli stessi insegnanti che non possiamo più permetterci un sistema scolastico privo di strumenti di controllo della qualità del lavoro degli insegnanti. In Europa siamo rimasti solo noi e i Greci a non averlo, con serie conseguenze sulla qualità dell’insegnamento.

Ma l’errore più grave commesso da Renzi è stato quello di rifiutarsi di spiegare agli italiani l’obiettivo vero dell’eliminazione del titolo quinto e del senato che unitamente alla nuova legge elettorale avrebbero dovuto portare ad un profondo cambiamento della vita politica italiana.
Attraverso un rafforzamento del potere centrale dello Stato, un rafforzamento del Presidente del Consiglio e la fine di quello che il compianto Sartori definiva “l’eccesso di parlamentarismo”, si sarebbe arrivati a governi stabili e autorevoli in grado di gestire i tempi lunghi delle riforme.
Quando gli avversari lo accusavano che attraverso il “combinato disposto” (vale a dire riforma costituzionale + legge elettorale) mirava a posizioni personali autoritarie, lui reagiva non dicendo voglio riformare il sistema politico italiano, ma che il tutto si riduceva a risparmiare soldi e a velocizzare i processi decisionali della politica. Insomma mirava a un obiettivo alto ma non lo diceva dichiarandone uno di basso profilo; una furbizia che è stata la sua fine, ma anche di una politica riformista.
    In definitiva, l’insieme legge elettorale porcellum e renzismo hanno solo posposto la certificazione della crisi della sinistra italiana, esplosa nel 2013.

Quali Conclusioni Trarre
La situazione nella quale si trova il PD è molto seria, dopo il fallimento dell’esperienza renzista, sembra improbabile che l’attuale gruppo dirigente possa produrre un “Macron italiano”, un “nuovo Renzi”, che rilanci con autorevolezza il “riformismo europeista” anche perché lo stesso Matteo Renzi non sembra rendersi conto del disastro che ha combinato e non ha alcuna intenzione di farsi da parte, sognando improbabili rivincite.
Per l’Europa c’è solo da augurarsi che la politica riformista e europeista di Macron alla lunga risulti vincente in Francia e che i socialisti europei la facciano propria rilanciando il ruolo della sinistra ai tempi della globalizzazione e della rivoluzione elettronica.

1 commento:

  1. tra gli errori commessi da Renzi va aggiunta la cattiva comunicazione politica. Stare continuamente a dire che tutto andava per il meglio ha finito per istigare quanti invece vivono in condizioni precarie.

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