21 mar 2018

Alla radice di alcune delle distorsioni profonde del “sistema Italia” e delle possibili soluzioni

di Ugo Di Girolamo

    A fine Gennaio 2018 la Mondadori ha pubblicato un saggio di Federico Fubini, giornalista economico del Corriere della Sera, dallo strano titolo: “La maestra e la camorrista”.
Strano perché sembrerebbe un lavoro che si occupi di camorra, ma in realtà è tutt’altro.
Con questo suo lavoro Fubini va ad analizzare alcune delle distorsioni che caratterizzano la società italiana e il suo apparato produttivo.


    L’ autore parte dalla constatazione dell’immobilismo sociale che affligge l’Italia in maniera ben più consistente che negli altri paesi occidentali, Inghilterra esclusa a mio avviso. I figli delle persone delle classi sociali “più umili” sono destinati a rimanere nelle stesse fasce sociali dei genitori; così come quelli della classe media finiranno per accomodarsi nella stessa area paterna e i figli dei ricchi erediteranno ricchezza e prestigio delle posizioni occupate dai padri.

    In una società a crescita zero o zero virgola, qual è diventata l’Italia nell’ultimo trentennio, le posizioni meglio remunerate sono sempre più contese e il genitore che ne occupa una di rilievo “prende grande cura nell’orchestrare lui stesso la successione al proprio scranno”. Per l’autore quella italiana è una società dinastica.


    Ma questo immobilismo sociale è solo il frutto di un “protezionismo” dei genitori o c’è qualcos’altro?


    Uno studio interdisciplinare del 2006, condotto dall’economista James Heckman, premio Nobel per l'economia, arriva alla conclusione che “le distanze nelle capacità sociali, emotive e cognitive dei bambini di tre anni sono già ampie in base agli stimoli che hanno ricevuto nella vita”. Questa diversità di partenza segnerà – con poche eccezioni – l’intero percorso di vita.

    Ma per Fubini “non è vero che contro le diseguaglianze di partenza nella vita non si può fare nulla”. Si può fare molto, purché si riconosca il problema per tempo e si approntino dei correttivi.


    Per verificare questa affermazione l’autore, mutuando strumenti di analisi dall’economia sperimentale e dalla psicologia, conduce una serie di esperimenti, prima in istituti tecnici di Mondragone (Caserta), Padova e Milano, poi in due scuole materne di un quartiere degradato di Napoli e della Milano bene disposta a pagare una retta di 15.000 euro all’anno per i propri figli.

    Dati alla mano, dagli esperimenti di Mondragone, Fubini deduce che è possibile almeno in parte recuperare autostima, fiducia e impegno di giovani svantaggiati. Ma ancora più interessanti gli esperimenti condotti nelle due scuole materne di Napoli e Milano. Dai risultati si conferma che la “divaricazione dinastica” fra italiani si determina nella prima infanzia ed è a questo livello che occorre intervenire con forza “non per tarpare le opportunità di chi ne ha di più, ma per offrirle a chi non ne ha e così ridurre lo spreco colossale di talento che intorpidisce questo Paese”.

    Altro aspetto rilevante delle storture del sistema socio economico italiano, che Fubini analizza, è quello dell’incapacità di uscire nel modo giusto dalla trappola del reddito medio e della connessa patrimonializzazione della ricchezza prodotta.

    Esaurita la fase del vantaggio competitivo dei bassi salari e dell’applicazione di tecnologie già esistenti in altri paesi avanzati, l’Italia entra, nella prima metà degli anni settanta, in una fase di rallentamento della crescita economica e poi nell’ultimo ventennio in una vera e propria stagnazione, con un ritmo di incremento del PIL - tra il ‘95 e il 2016 – dello 0,5% all’anno.

    Priva “di istituzioni sane e funzionanti, di un sistema di investimenti pubblici sulle competenze e sulla cultura … nonché di investimenti privati in imprese sempre più grandi …” l’Italia si avvita su se stessa e nel mentre cresce un imponente debito pubblico, cresce anche in maniera abnorme - rispetto a quanto avviene in altri paesi avanzati - il patrimonio finanziario e immobiliare delle famiglie italiane, fino a raggiungere un valore pari a tre volte il debito pubblico.
    

    Questo processo che riversa ricchezza, dallo Stato e dalle imprese private, nei patrimoni familiari si dimostra nefasto in particolare per la piccola industria. I proprietari di piccole imprese, invece di riversare i risparmi aziendali negli investimenti, ampliando le proprie aziende, trasferiscono questi risparmi nei patrimoni familiari.

    Questa lunga stagnazione e patrimonializzazione dell’economia italiana ha per conseguenza la fuga dei giovani all’estero. Questi ultimi incapaci di trovare sbocchi occupazionali adeguati al livello culturale raggiunto se ne vanno dall’Italia.

    La fuga dei giovani e un welfare distorto sono per Fubini alla base della grave denatalità che affligge l’Italia. Certo il fenomeno non è solo italiano e forse – a mio avviso – ci sono aspetti che al momento sfuggono alla comprensione, ma mentre in altre parti del pianeta e dell’Europa si approntano politiche di contrasto che ottengono dei risultati, visto che paesi come la Francia e l’Inghilterra continuano a crescere in popolazione residente, l’Italia ha cominciato a decrescere nonostante l’immigrazione.

    La sintesi schematica sin qui da me condotta sul lavoro di Fubini non rende merito alla complessità e profondità del saggio e molte delle analisi fatte non sono state neanche sfiorate. Ma è quanto basta, spero, per suscitare la curiosità e la voglia di leggere il suo saggio sulle profonde distorsioni della società italiana e soprattutto verificare le proposte che nella parte finale lui avanza per correggerle.

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