17 dic 2014

Lettera al Presidente dell’Agenzia Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone


Lettera di Ugo di Girolamo 
risposta del Dott. Raffaele Cantone

Gentile dottor Cantone, le scrivo per riannodare le fila di un discorso che, seppur non con continuità, provo a fare con lei dal 2009, anno di pubblicazione del mio saggio “Mafie, politica, pubblica amministrazione”. In esso, come lei sa, ho sostenuto la tesi che per risolvere definitivamente il problema mafioso, accanto a una serrata lotta “militare” verso i clan, occorreva portare il contrasto sul fronte della lotta alla corruzione e al clientelismo, per spezzare il legame tra mafie, politica e pubblica amministrazione.
Partendo dalla consapevolezza che la mafia, in tutte le sue versioni, è una specifica forma di criminalità organizzata, caratterizzata dalla capacità di penetrare negli enti dello Stato per piegarli ai propri interessi e – per questa via – invadere l’economia legale, la lotta per distruggerla non può che passare dalla distruzione dell’antico legame mafie-politica. Questa consapevolezza, che si è fatta strada nel dibattito politico nazionale, ha prodotto alcune norme quali la legge 221/91, il voto di scambio e il concorso esterno. Queste norme, in sé  utili al contrasto antimafia, alla prova dei fatti si sono dimostrate del tutto insufficienti a realizzare lo scopo. Il loro fallimento è dovuto al fatto che esse non aggrediscono il vero nodo della questione: la corruzione e il clientelismo.
Ciò che è accaduto a Roma è la prova, se mai ce ne fosse ancora bisogno, del fatto che la porta di ingresso dei clan nelle istituzioni è rappresentata dalla corruzione e dal clientelismo.
Tutto quanto avviene nella fase elettorale, dalle primarie alle preferenze, e l’assoluta insufficienza della strumentazione anticorruzione, da una normativa “colabrodo” alle partecipate, consente livelli tali di corruzione che fanno dell’Italia il Paese leader dell’Europa comunitaria nella triste classifica.
La responsabilità di queste “ porte aperte” per le mafie è del ceto politico italiano, di destra ma anche di sinistra. Ceto politico che per 150 anni si è rifiutato di sottostare ai controlli di legalità.
Tutto questo io sostenevo nel mio libro nel 2009  e AVEVO RAGIONE. La lotta alle mafie passa obbligatoriamente per una lotta alla corruzione e al clientelismo.

Ma su una cosa mi sbagliavo e oggi ho parzialmente corretto la mia convinzione: la Stazione Unica Appaltante. Lei è stato sempre un sostenitore di questo strumento, io al contrario non vi ho mai attribuito un grande valore.  Anzi vi intravedevo il pericolo che essa paradossalmente potesse spingere clan non unificati, come la camorra casertana, a federarsi per potersi rapportare alla S.U.A.
Tuttavia, anche se con qualche perplessità, mi rendo conto che se la sua proposta, per ipotesi, due anni fa fosse stata accettata e generalizzata oggi non ci saremmo trovati di fronte al caso Roma.
AVEVA  RAGIONE LEI  bisogna togliere dalle mani dei comuni (e delle Regioni) il potere di gestire appalti.

Colgo l’occasione per farle i miei più fervidi auguri per le prossime feste natalizie e per il suo lavoro all’ANAC.

lunedì 08/12/2014 08:53

La risposta del Presidente
Caro dott.
Effettivamente il nodo del rapporto corruzione/mafie si sta rivelando il più difficile da sciogliere. Anche io ho pensato spesso alla sua idea e come essa fosse oggettivamente premonitrice.
Oggi si tratta di una questione ormai ineludibile perché ad essa è legata la possibilità di uscire dal tunnel.
Il tema della S U A  è invece persino diventato minore rispetto agli enormi problemi che si pongono per gli appalti. Bisogna avere il coraggio di fare scelte normative nettissime sul punto e spero davvero lo si faccia. 

Un cordialissimo saluto

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