1 gen 2013

Grasso, Ingroia, due candidati eccellenti a confronto, due modi di concepire l’antimafia

di Ugo Di Girolamo

E’ apparso subito chiaro l’intento di Bersani di contrapporre a Ingroia, verso il quale aveva chiuso ogni spiraglio di dialogo, la candidatura di Pietro Grasso. All’antimafia di Ingroia, titolare dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia del ‘92/’94, si è voluto contrapporre quella di Pietro Grasso, alla guida dal 2005 della procura nazionale antimafia.

Due candidati eccellenti che presentano caratteristiche solo apparentemente simili.
    Non si vuole qui entrare in considerazioni sui meriti professionali, entrambi notevoli, né sui precedenti rapporti politici dei due, con Berlusconi quelli di Grasso, con la sinistra radicale quelli di Ingroia. Al contrario si vogliono unicamente valutare gli obiettivi espliciti che i due magistrati si sono impegnati a perseguire sulla questione mafiosa con l’entrata in politica e la conseguente possibile attività parlamentare.

     Per Piero Grasso, come ha dichiarato nella conferenza stampa di ufficializzazione della sua candidatura con il  PD, l’obiettivo prioritario è: “… mettere mano alla legislazione antimafia, una volta e per tutte. Sarà il primo passo per una riforma organica della giustizia”. Il magistrato ci ha tenuto a precisare “… non sono iscritto ad alcun partito”, insomma un tecnico che sembra proporsi come ministro della giustizia, per una seria riforma della stessa.

     Del procuratore nazionale antimafia conosciamo abbastanza bene il pensiero sulla mafia, desumibile da un filmato realizzato con RAI-Storia. Un ciclo di 12 lezioni sulla mafia – rintracciabili su Youtube -  dalla durata complessiva di circa 6 ore, nelle quali Grasso viviseziona il fenomeno mafioso in tutti i suoi rilevanti e fondamentali caratteri. Un’analisi completa con dovizia di particolari e prove a supporto di quanto affermato.

     L’intero lavoro ha però un limite grave: una vergognosa reticenza sui rapporti tra mafie e politica.

     Nella 4° lezione che ha per oggetto proprio questi rapporti, Piero Grasso parla per metà tempo della penetrazione nell’economia legale (tema già trattato nella lezione 3°) e per l’altra metà il tutto si riduce a spiegare il ruolo di Vito Ciancimino e Salvo Lima, rispettivamente assessore e sindaco, nel “sacco di Palermo”. Non potendo sfuggire in alcun modo alla questione, se ne esce con frasi pasticciate circa un presunto e indefinito ruolo di mediazione dei mafiosi e dei politici verso i bisogni della gente. Nella lezione 10 ritorna fuggevolmente sull’argomento quando rievocando la grande repressione di massa del prefetto Mori, del ‘26/’29, dice che quest’ultimo dopo aver sgominato i clan si applicò ai rapporti di questi con la politica e ciò ne determinò l’allontanamento da Palermo. Non una parola sui rapporti tra mafia e politica nella prima repubblica. L’intreccio mafia-politica è noto sin dal 1863 per la camorra napoletana ad opera di Marco Monnier e dal 1867 per la mafia siciliana ad opera di Leopoldo Franchetti. Si tratta di un aspetto fondamentale della questione mafiosa ed è dal diverso atteggiarsi in proposito che deriva l’alternativa tra lotta alla mafia con l’obiettivo di contenerla e lotta alla mafia per distruggerla definitivamente.

     Ed è proprio in conseguenza di questa sua reticenza che la strategia antimafia di Piero Grasso, enunciata nelle ultime lezioni, si riduce a un miglioramento e ampliamento degli strumenti di lotta a disposizione di giudici e forze dell’ordine. Strategia subito riproposta dal  magistrato nell’intervista di presentazione della sua candidatura.

     Diverso il discorso per Ingroia, al punto 4 del suo decalogo del 21 dicembre vi è una esplicita volontà di apportare cambiamenti radicali nella lotta alle mafie che, partendo dalla priorità di tagliare i legami dei clan con la politica e gli altri poteri, porti alla definitiva distruzione delle mafie.

     Ingroia è in quel gruppo di magistrati siciliani (Scarpinato, Morosini, Di Matteo e altri) che hanno maturato la convinzione, espressa in più pubblicazioni, che la lotta risolutiva alle mafie passa per la rottura dei legami con la politica. E’ impedendo la penetrazione nello Stato che si impedisce anche quella nell’economia legale.

      Il terreno d’incontro tra clan e politica è rappresentato dalla corruzione. Il politico per avere il sostegno elettorale del clan compie atti corruttivi che consentono al mafioso di piegare le istituzioni dello Stato ai suoi interessi e gli consentono anche la penetrazione nell’economia legale.

     La lotta alla corruzione diventa quindi la via prioritaria, il nodo strategico, per spezzare i legami tra mafiosi e politici.  Ed è per questo che il decalogo di Ingroia si apre con la legalità (punto 1) e si chiude con la questione morale (punto 10).
     Le mafie private del sostegno politico e della possibilità di penetrare nell’economia legale si riducono a semplici associazioni a delinquere, a gangsterismo urbano, facilmente sgominabili. Una consapevolezza questa sempre tenuta ben presente dai mafiosi, come ci hanno detto diversi pentiti (Salvatore Cancemi, Giacomo Lauro e altri).
     In sintesi, ci troviamo di fronte a due candidature che esprimono due diverse visioni della lotta alle mafie: di serio contenimento quella di Piero Grasso, di possibile sradicamento definitivo quella di Ingroia.
     Mi sembra scontato che queste considerazioni, pur evidenziando rilevanti elementi di diversità tra i due candidati, non sono di per sé sufficienti a determinare una scelta tra le rispettive formazioni politiche in quanto vi sono altre considerazioni da tener presente per orientarsi al voto. In primo luogo il modo nel quale si intende promuovere l’incremento di produttività dell’apparato economico italiano e quindi la crescita della sua competitività internazionale. In altri termini, la scelta decisiva resta quella relativa alle riforme da realizzare per far uscire l’economia italiana dalla crisi strutturale. E la soluzione della questione mafiosa è solo una delle riforme da realizzare in questa prospettiva.

1 commento:

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